Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 24 Novembre 2022

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Il fine dei tempi

Siamo al culmine del discorso di Gesù sulla profetizzata distruzione di Gerusalemme, costellato di immagini apocalittiche e segnato da eventi di rovina e di morte. Tutto la scena è dominata dall’imminenza di qualcosa che deve accadere, e questo “qualcosa” è un evento segnato da una polarità, che il racconto racchiude tra due espressioni simili ma antitetiche: ciò che sta per accadere è un evento al contempo devastante – “la devastazione [di Gerusalemme] è vicina” (v. 20) – e liberante – “la vostra liberazione è vicina” (v. 28).

Devastazione di un mondo, quello segnato dal “tempo dei pagani” (v. 24), ovvero di un’umanità che avanza con la sua logica mondana e antievangelica, da una parte, e liberazione di un “piccolo gregge”, quello che ha accolto e vive della logica evangelica di Gesù. Questo scontro tra le due prospettive umane è dipinto a tinte forti come una battaglia tra la morte – “gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà avvenire” (v. 26) – e la vita ritrovata e risorta – “risollevatevi e alzate il capo” (v. 28). Alla distruzione cosmica si contrappone un evento di vita: la venuta del Figlio dell’uomo.

Questa venuta coinciderà con la fine di questo mondo: è ciò che ci dicono i vv. 25-26 riprendendo immagini profetiche che descrivono uno sconvolgimento cosmico, quasi un’anticreazione in vista di una nuova creazione che dovrà compiersi. Come Dio ha creato il mondo, così lo conduce alla sua fine, che è anche il suo fine. Un decreto nascosto nel seno del Padre, che non è riducibile a cause o a fenomeni interni al mondo o alla storia umana, si realizza in un evento finale che tronca il tempo e lo assorbe in ciò che non è più tempo ma ’eternità. Dopo la tribolazione escatologica tutte le creature tornano alla dissoluzione e tutte le potenze dei cieli che governano il mondo sono sconvolte, perdono il loro potere, sono depotenziate, ridotte al nulla (cf. v. 26).

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Lo sfondo catastrofico descritto nei vv. 24-25 ha lo scopo di attribuire alla scena che introduce tutto il suo peso di intervento ultimo e definitivo di Dio nel mondo. Sarà la parusia, l’epifania che tutti vedranno: il Figlio dell’uomo si presenterà di persona e verrà nella “potenza” – singolare, opposto al plurale delle “potenze” di cui si parlava nel precedente v. 25 – e nella gloria sulle nubi del cielo. Le potenze, cioè i cardini del sistema, sono messe in crisi, “sconvolte” e vinte, mentre l’unica “potenza”, quella che compete al Signore della gloria, apparirà evidente a tutta l’umanità. È chiaro allora che tutti i segni apocalittici che già avvengono ora sono i segni della fine cui è destinato il mondo. I discepoli devono sapere, vivendo gli ultimi tempi, che gli eventi in cui saranno coinvolti sono già inscritti in un piano di Dio che ha il suo vertice nella venuta del Figlio dell’uomo.

La storia dunque finirà, perché il tempo ha una sua fine e un suo fine, e per questo dal firmamento scompariranno tutti i segni che scandivano il tempo della storia – sole, luna, stelle (cf. Gen 1,14-19) – e rimarrà solo un segno, una visione: “il Figlio dell’uomo veniente su una nube con grande potenza e gloria” (v. 27). Il Figlio dell’uomo diventa l’unico principio di certezza e di speranza, l’unica figura in cui cielo e terra si ritrovano: “figlio dell’umanità”, impastato di questa storia, egli è anche totalmente dono di Dio.

Quel Gesù che ha condiviso con gli uomini e le donne tutta la loro storia, la loro vita e la loro morte, che era stato elevato da terra ed era asceso al cielo, da quello stesso cielo, un giorno, tornerà; questo è quello che annunciano ai discepoli i due angeli in bianche vesti al momento dell’ascensione: “Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,11).

fratel Matteo

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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