Con la Solennità di Cristo Re dell’Universo si conclude il ciclo dell’Anno liturgico, una solennità tutta particolare, sembra quasi una contraddizione: celebriamo sì un re, ma un re che ha una corona non di oro, ma di spine, che non è seduto su un trono d’oro, ma su quello scomodo della croce.
Secondo la nostra logica un personaggio potente è colui che salva se stesso, che non ha bisogno di nessuno, i soldati infatti seguendo questa logica replicano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Il nostro Dio però non è come il politico di turno che cerchiamo di corrompere per assecondare i nostri progetti e avere così le nostre sicurezze.
Il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me… si dona completamente a me a noi ed è in questo donarsi che si realizza il suo progetto di salvezza e di amore che Dio ha per ciascuno di noi. Ci fa comprendere che la salvezza non è un premio che io ottengo: la salvezza è dono del suo immenso Amore che ci chiama ad una vita di comunione nel suo Regno.
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Pensiamo bene a quanto ha da insegnarci uno dei malfattori che grida: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42) riesce a riconoscere in quell’uomo appeso alla croce come un condannato, il Figlio di Dio, il re delle genti. Anche noi proprio come il malfattore, impariamo ad accogliere Gesù come Re in qualsiasi modo si manifesti nella nostra vita.
Commento a cura di don Guido Santagata della Parrocchia Santa Maria Assunta-Duomo di Sant’Agata de’Goti (BN)