La regalità di Cristo si svela nella croce
Celebrare Cristo Re contemplandolo nel momento in cui è inchiodato a una croce, insultato, morente, privato della dignità desta stupore e perplessità, non solo agli antichi ma anche a noi oggi. Che re assurdo! Questo sarebbe il regno dei cieli e questo lo stile del regno di Dio?
«Dunque tu sei re?» (Gv 18,37), gli chiede Pilato, forse con questa perplessità.
Il malfattore che ricorda a Gesù che se fosse re dovrebbe salvarsi – e salvarli – non è molto diverso da noi quando siamo sovrastati dalle difficoltà della vita, anche durissime, e preghiamo implorando Dio di farci guarire, di salvare i nostri figli, di non farci perdere il lavoro. Sì, anche noi in fondo la pensiamo come quel malfattore e comprendiamo che, forse, non è così malvagio come spesso lo consideriamo.
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La regalità di Gesù è invece proclamata dall’altro ladrone che ne proclama l’innocenza: è proprio quell’innocenza a dichiararlo re e ne manifesta la regalità di Cristo. Non è un caso che Pilato si impunti nel dichiararla nel titulus crucis: Gesù Nazareno re dei Giudei. Il potere della regalità di Gesù è diverso da quello del mondo: è il potere di amare e, dunque, di salvare, perché l’amore salva l’amato se si lascia amare. I discepoli hanno la grande opportunità di ricevere lo stesso potere di amare come Dio ama.
Amare è donare e il dolore e la morte incipiente non impediscono a Gesù di esercitare la sua regalità regalando il paradiso all’uomo di fianco a lui. Sia questo di monito a noi tutti, neopelagiani del terzo millennio, che riteniamo il paradiso da conquistare a colpi di opere buone. Si noti al riguardo l’assonanza vocale e di radice dei termini “regalo” e “regale”.
I segni della passione sono paradigmi della nostra vita e delle situazioni che viviamo: le mani inchiodate sono sinonimo di non avere più la possibilità di fare qualcosa: i piedi inchiodati sono sinonimo di non saper più dove andare; il capo coronato di spine è sinonimo di non saper più cosa pensare con la testa che ci scoppia; il fianco squarciato è sinonimo di un cuore a pezzi.
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Questo signfica che quando la vita ci abbatte con i dolori più tremendi, possiamo vivere ed esercitare la stessa regalità che Gesù manifesta sulla croce.
«Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43): non vuol dire solo che di lì a poco, dopo la morte, entrambi staranno insieme; quell’«oggi» è già vivere il paradiso, perché stare di fianco a Gesù lo è anche nella croce. Cosa cambia un luogo – che può essere anche un patibolo – in un’anticamera del paradiso? Stare con Cristo.
Non dobbiamo preoccuparci dove stiamo, ma con chi stiamo; non dobbiamo preoccuparci delle situazioni che si creano intorno a noi, ma se le viviamo o no con Cristo nel cuore. Il buon ladrone, riconoscendo le proprie colpe, ci indica una buona porta per accedere al paradiso e non è un caso che ogni celebrazione eucaristica cominci con il riconoscere le proprie povertà.
Che il Signore ci dia, in questa festa di Cristo Re, di somigliare a questo malfattore: coscienti dei nostri peccati e consapevoli dell’innocenza di Dio, credere al suo regno e al futuro, all’opera che Dio porterà a compimento, per diventare sudditi di Cristo re e non di altri sovrani.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli