Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 13 Novembre 2022

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Il nostro modo umano di guardare alla realtà che ci circonda il più delle volte non coincide con il modo di vedere di Dio. Ne è prova l’apertura della pagina del Vangelo di questa domenica, tratta dal capitolo 21 del Vangelo secondo Luca, il cosiddetto discorso di Gesù sulle cose ultime. Gli interlocutori del Maestro sono impressionati e si sentono orgogliosi della bellezza esteriore del tempio, per il suo stile architettonico e per la pomposità degli addobbi festivi.

La profezia di Gesù, circa la fine del tempio materiale, suscita una domanda in loro: quando accadrà e come lo capiremo? Anche in questo caso, la curiosità umana non viene soddisfatta dal Maestro. Non serve conoscere i tempi, provare a calcolarli o stabilire date, come tanti pseudo interpreti delle Scritture tentano di fare sin dai primi secoli della Chiesa. Ciò a cui Gesù esorta attraverso questa Parola è l’ingresso in una prospettiva differente: la mia esistenza personale come si prepara al fatto che la storia ha una direzione precisa verso un fine?

Sapere che siamo in questa storia orientata verso l’incontro definitivo con Lui, quando la storia sarà trasfigurata nell’eternità, vuol dire prepararsi propriamente a questa trasformazione. Il nostro percorso umano e storico in questo mondo ha dei segni che ci fanno capire la sua contraddittorietà ed incompletezza. Le guerre, le epidemie, le catastrofi naturali, le violenze e specialmente le persecuzioni verso i discepoli di Cristo, sono segni che la creazione geme e soffre e che esiste qualcuno, a cui il progetto di Dio non piace. È colui che chiamiamo il diavolo, satana.

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L’Apostolo, nella Lettera ai Romani, descrive in maniera illuminante la condizione della creazione e dell’umanità in questa dinamica: “Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati” (Rm 8, 22-24). Il senso cristiano della storia, in altre parole, grazie alla luce che ci viene dalla Rivelazione, ci dice che la realtà di questo mondo, per quanto piacevole o dura sia, è sempre penultima ed è l’anticamera della condizione finale dell’eternità.

Il modo in cui noi, nella fede e soprattutto nella speranza, viviamo e affrontiamo questa condizione penultima, farà la differenza. Nella nostra quotidianità noi costruiamo liberamente e inesorabilmente la nostra sorte eterna. Se lasciamo al Signore lo spazio per essere il regista della nostra esistenza, non abbiamo nulla da temere. La paziente perseveranza di chi sa attendere la salvezza da Lui non ci libererà certamente dalle contraddizioni del mondo, ma certamente sarà la chiave perchè il nostro passaggio  dalla condizione penultima a quella definitiva non sia traumatico, ma invece sia come il compimento di un cammino luminoso e trasparente.

Tutto dipende da che parte stiamo, qui ed ora! Ci aiuta a capire questa prospettiva il grande San Paolo VI, quando nel suo Pensiero sulla morte parlando della sua appartenenza alla Chiesa, così scrive: “Non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio, con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi”.

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