LA PREGHIERA INSTANCABILE DELLA CHIESA CI DONA LA FEDE NELLA QUALE ATTENDERE IL RITORNO DELLO SPOSO
Sperare contro ogni speranza, il fondamento ultimo e primo della preghiera. Vedova, con un avversario a stringerle la gola, e un giudice terribile da cui aspettarsi tutto meno che giustizia. Speranze umane praticamente nulle. Questa vedova si confonde nell’ immagine dell’inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore come appare nel Cantico dei Cantici: “O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole” (Ct. 2,14). La tradizione di Israele interpreta questo versetto alla luce della notte di Pasqua: “Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo d’Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c’era il falco” (Targum Shir Ha-Shirim 2:14). Il rabbino Rashi è ancora più esplicito: “Questo è detto in riferimento al tempo che il Faraone e il suo esercito inseguirono e raggiunsero gli israeliti accampati presso il mare, e non c’era nessun posto dove fuggire di fronte a loro a causa del mare, né vi era posto per passare al lato a causa della bestie feroci”.
La preghiera della vedova è, essenzialmente, la voce dell’amata in difficoltà suscitata dall’Amato: è Lui che, innamorato e attirato dalla sposa, desidera ascoltare la sua voce, la chiama e la invita a pregare e a mostrare il suo volto. La preghiera è l’amore che spalanca il mare, che ci introduce nella Pasqua, e fa della nostra vita un esodo verso la libertà.
Forse non abbiamo mai pensato che è proprio il Signore a desiderare il nostro grido, la nostra preghiera incessante. Anche quando sembra sparire dalla nostra vita, quando ci sentiamo come questa vedova, è Lui che ci ripete: “fammi udire la tua voce, mostrami le tue lacrime, dimmi quello che vi è al fondo del tuo cuore”.
Crediamo sforzarci per pregare, e a volte è così, ma la necessità di pregare sempre e senza stancarsi è la necessità dell’amore. Prega con fede e senza stancarsi solo un cuore innamorato, raggiunto dalla voce del suo Amato. Pregare non è follia o rifugio alienante: “L’impegno della preghiera sembra, a tutta prima, un estraniarsi dalle lotte della vita. Sembra una rinuncia a combattere. Ma chi pensa così, non conosce la potenza della preghiera” (Giovanni Paolo II, Firenze, Omelia del 19 ottobre 1986). Pregare è sperare contro ogni evidenza, sospinti dall’impulso che sorge da un cuore ferito d’amore. Ancor prima di metterci a pregare, Lui conosce quello di cui abbiamo bisogno, e lo tiene già pronto per donarcelo, secondo la sua volontà; ma desidera ascoltare la nostra voce, che gli esprimiamo il nostro amore, perché solo chi ama è davvero felice, anche nelle difficoltà.
Il nostro amore verso di Lui non può che essere il povero balbettio di una vedova che cerca giustizia; parole ripetute con insistenza al giudice, come le lacrime della peccatrice versate copiose sui piedi di Gesù, perchè ama molto solo colui al quale molto è stato perdonato. Sì, per amare Cristo, non abbiamo che l’insistenza delle lacrime e della preghiera. E’ necessario amare per vivere, e chi ama davvero non si stanca mai; come in qualunque relazione, non mancano certo i momenti di difficoltà, ma è proprio allora che l’amore rivela la sua definitività e la sua autenticità. Amare è cosa di tutta una vita, e così pregare. Per questo il Signore conclude la parabola chiedendosi se, tornando, troverà ancora la fede sulla terra, ovvero se troverà ancora amore nel cuore della Chiesa sua amata.
Spesso dunque la fede deve accompagnarci nel deserto, come la vedova del Vangelo; radicata in altre passate esperienze, accese per Grazia dallo Spirito Santo ad illuminare la ragione incastrata nel dubbio e nell’incomprensibilità, la fede muove il cuore a pregare e ad amare nonostante l’aridità e la tentazione. Quando tutto sembra congiurare contro di noi, sul lavoro, in casa, la salute, i soldi che non bastano mai, quando siamo con la lingua di fuori, stremati dagli insuccessi e accerchiati dal nemico, la fede è sperare al di là di ogni ragionevolezza. La preghiera è il “linguaggio” della fede adulta di chi ha fondato la propria vita sull’amore di Dio, sperimentato e conosciuto. “E’ chiaro infatti che la preghiera dev’essere espressione di fede, altrimenti non è vera preghiera. Se uno non crede nella bontà di Dio, non può pregare in modo veramente adeguato. La fede è essenziale come base dell’atteggiamento della preghiera (Benedetto XVI, Omelia del 17 ottobre 2010).
La fede è questa speranza, la preghiera d’una vedova che non ha nessuno, niente altro che la propria insistenza. Giorno e notte senza stancarsi. L’insistenza dell’amore, mossa dalla certezza di essere esaudita; questa vedova sa che l’unica arma per scardinare la porta blindata del giudice è la sua insistenza. Laddove non potrebbero le ragioni umane, neppure i migliori avvocati – e comunque la vedova non ne ha – può l’insistenza spinta al limite della resistenza altrui; molestare e prendere il giudice per sfinimento.
Come fanno i bambini quando si mettono in testa di farsi regalare il gelato o un nuovo giocattolo: non c’è nulla da fare, si piantano accanto alla madre, e chiedono e piangono e non smettono sino a quando, esausta, non esaudisce i suoi desideri. Il bambino sa che quella è la chiave, la sua furbizia dettata dall’esperienza e neanche troppo ragionata, lo muove a fare così. Il figlio è certo della “vittoria”, perchè i suoi capricci, la sua insistenza petulante, hanno sempre avuto ragione dei primi dinieghi dei genitori. Così è per questa vedova: con l’insistenza sfianca il giudice, il quale, pur di non averla più tra i piedi, le accorda giustizia. E non era assolutamente scontato, visto che in quella società, nonostante quanto prescritto dalla Torah, la vedova contava ben poco, e meno contro un avversario potente in mezzi e avvocati.
La vedova sa che le è stata fatta un’ingiustizia dall’avversario. Ha coscienza di aver subito un’ingiustizia, che qualcuno ha turbato l’equilibrio della sua vita, prendendola tra il Faraone e il mare, tra il falco e il serpente. Si è dovuta ingiustamente rifugiare nella cavità di una roccia, è già in prigione, ha perduto la propria libertà. E per questo, accesa dall’amore, certa di essere esaudita, affamata di giustizia, insiste senza stancarsi. Il verbo enkakein tradotto con “senza stancarsi”, ha il significato di cominciare a trascurare qualcosa o tralasciare un impegno a cui si è obbligati. La coscienza di avere un avversario le impedisce di trascurare la preghiera, la supplica, l’amore.
Chi invece ha perduto questa coscienza e non si rende più conto di avere un avversario che gli sta facendo un ingiustizia si stanca, comincia a tralasciare l’impegno costitutivo della propria vita. Solo chi ha conosciuto la Giustizia misericordiosa di Dio ha coscienza dell’avversario, ha timore di perdere per sempre la giustizia vera, e di precipitare in una vita mutilata, a metà, come è quella di una vedova.
La Giustizia nella Scrittura descrive il rapporto pieno e autentico con Dio, il permanere nella Verità di cui parla spesso S. Giovanni. Questa vedova ha un avversario che le ha strappato o le vuole strappare questa vita santa, bella, giusta. E’ l’attacco più grave, non può stancarsi nel chiedere che le sia riconosciuto, protetto o ridato il diritto di vivere nella giustizia, nella comunione con il suo Sposo. La vedova rivendica la misura di vita che le corrisponde; vuole che essa sia piena, traboccante come le spetta per diritto, e implora che le sia versata in grembo. Insiste perchè vuole vivere secondo giustizia, la giusta misura di verità, amore, pace e letizia che corrisponde alla sposa di Cristo!
Questa insistenza si manifesta, essenzialmente, attraverso i gemiti inesprimibili dello Spirito Santo che gridano dentro ciascuno di noi. Non sappiamo quello che dobbiamo domandare, solo sappiamo, come la vedova, che c’è una giustizia, una misura alta di vita per la quale siamo stati creati ed eletti! Come, quando e dove essa si compirà è affare dello Spirito Santo. Esso attesta al nostro intimo che siamo figli, coeredi di Cristo di una vita giusta, secondo la volontà di Dio, che non possiamo trascurare.
Per questo è necessario pregare sempre, ne va della nostra felicità. Non possiamo abbassare la guardia, c’è l’avversario. Questo termine indica il demonio, l’accusatore che ci accusa giorno e notte davanti a Dio, come già fece con Giobbe, e poi con gli eletti di Dio. Sbandiera i nostri peccati e ci vuole condannati. E quante volte sentiamo queste accuse penetrarci dentro, tramortirci, e gettarci nello sconforto, nel vederci sempre uguali, sempre gli stessi peccati… Le accuse di colui che prima ci ha ingannati, sedotti e spinti a peccare, e poi ci trascina davanti al Giudice. E’ l’esperienza che, ad esempio, facciamo in famiglia, quando discutiamo con il coniuge, con i figli o con i genitori, e ci alteriamo e, alla fine, vomitiamo ingiurie che non avremmo mai voluto pronunciare. E ci ritroviamo come questa vedova, che non può appellarsi né alla giustizia umana – il giudice non ha riguardo di nessuno – né al sentimento religioso – il giudice non teme Dio – Soli con i nostri peccati, soli con i rimorsi e quell’orgoglio ferito che ci fa impazzire. L’avversario ci ha resi vedovi, ci ha strappato lo Sposo. Per i nostri peccati, per il male che si abbatte su di noi, l’avversario ci ha tolto ingiustamente lo Sposo, e non lo vediamo più, e la vita s’e spezzata, perde di senso, scivola via privata della gioia. “Ma ecco, fin d’ora il mio testimone è nei cieli, il mio mallevadore è lassù; miei avvocati presso Dio sono i miei lamenti, mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio” (Gb. 16,19-20). E’ proprio dall’abisso nel quale siamo precipitati che possiamo elevare il grido, lasciare che lo Spirito Santo elevi i gemiti che siano i nostri avvocati presso Dio. I lamenti dello Spirito Paraclito, l’avvocato presso il Padre che perora la nostra causa. Lo Spirito del Signore Gesù che si è offerto per noi come mallevadore ed è ora alla destra di Dio: Lui che, secondo il significato del termine, impegnando sé stesso ed il proprio patrimonio, presta garanzia per ciascuno di noi, diventandone obbligato in solido, con i suoi stessi beni, con la sua vita. L’avversario non poteva immaginarlo: al solo pregare, Gesù si fa prontamente garante per noi presso Dio. Il Giudice non può non ascoltare prontamente dinanzi ad un Avvocato che garantisce mostrando al Padre le sue stesse piaghe, la sua vita offerta in riscatto.
Per questo possiamo insistere, pregare senza stancarci: quello che chiediamo non è altro che il compimento in noi della Giustizia della Croce, il perdono dei nostri peccati, poter lavare e rendere candide le nostre vesti, le nostre anime, nel sangue dell’Agnello, per vivere la vita giusta, il matrimonio giusto, l’amicizia giusta, il lavoro giusto. Siamo chiamati a vivere ogni istante implorando la Giustizia che smaschera la menzogna dell’avversario e il suo impianto accusatorio; pur essendo schiaccianti le prove contro di noi – abbiamo trascurato e siamo stati infedeli, quel giorno a quell’ora in quel posto, non ci sono attenuanti: la moglie ha sofferto, i figli si sono sentiti perduti, l’amico è scappato, il fidanzato ferito… – per un miracolo impensato, la folle Giustizia di Dio ci scagiona facendo ricadere la colpa sull’Innocente che ha confessato un delitto mai commesso. “O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!” (Exultet di Pasqua).
E’ questa la Giustizia che trasforma un assassino in un santo, una vedova nella sposa più felice, colei alla quale è stato ridonato lo Sposo sottratto, per vivere con Lui una vita autentica. Con fede occorre saper riconoscere i nostri avversari, i pensieri e la mediocrità che ci appare la via più semplice alla felicità, le concupiscenze d’ogni genere. La grandezza e la bellezza della vita alla quale siamo chiamati ci svelano i pericoli che si nascondono dietro l’angolo, gli avversari che attentano alla nostra vocazione. Abbiamo bisogno della fede che, senza stancarsi, ci spinge a lottare e cercare prima di ogni cosa il Regno di Dio e la sua giustizia, la nostra vera patria già su questa terra. La fede è il fondamento delle cose che si sperano, la certezza della “pronta” Giustizia di Dio, nel tempo necessario che si rivelerà breve come un fulmine, se sarà colmato con l’attesa, il grido, la preghiera, l’amore. S. Basilio Magno afferma che “chi prega, ha le mani sul timone della storia”. Si tratta della preghiera che sussurra senza posa il dolce Nome di Gesù, secondo l’interpretazione che la Chiesa Orientale ha dato al versetto sulla necessità di pregare senza stancarsi. Il Pellegrino russo ha imparato che la “preghiera del cuore” recitata al ritmo dei respiri e dei battiti del cuore, è l’unica cosa necessaria nella vita.
Attraverso di essa si imprimono il desiderio di giustizia e perdono, della vita piena e santa, il grido, l’abbandono, l’amore e la fede su ogni passo posato nella storia. La preghiera della vedova che trasferisce tutta intera la propria vicenda umana ai piedi del Trono di misericordia del Padre. Forse nulla cambierà secondo i nostri umani desideri, ma sarà mutato il nostro sguardo sui fatti e le persone, la vera Giustizia che giudica tutto trapassando le apparenze e giungendo diritto al cuore d’ogni cosa, l’amore infinito di Dio che avvolge e impregna tutto di una dolcissima misericordia.
“Il Signore è giudice e non v’è presso di lui preferenza di persone. Non è parziale con nessuno contro il povero, anzi ascolta proprio la preghiera dell’oppresso. Non trascura la supplica dell’orfano né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? La preghiera dell’umile penetra le nubi, finché non sia arrivata, non si contenta; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto, rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l’equità. Il Signore non tarderà… finché non abbia fatto giustizia al suo popolo e non lo abbia allietato con la sua misericordia. Bella è la misericordia al tempo dell’afflizione, come le nubi apportatrici di pioggia in tempo di siccità” (Sir. 35,2ss).
La bellezza risplendente in Maria, che è rimasta ferma nella fede nel tempo del dolore, anche dinanzi al Figlio Crocifisso, contemplando in Lui la Giustizia che Ella stessa – Figlia di Sion e Madre della Chiesa, vedova sola senza nessun avvocato, abbandonata come Gesù anche dagli amici – implorava per noi suoi figli, per ogni uomo. in Lei, come scriveva Benedetto XVI, Gesù troverà la fede sulla terra, nella Chiesa radicata in essa, ai piedi della Giustizia crocifissa e per questo eterna e capace di salvare i peccatori. La Giustizia che il mondo non conosce e che ha diritto di conoscere.
Per questo il Signore conclude la Parabola chiedendo se “il Figlio dell’Uomo quando tornerà, troverà la fede sulla terra?” L’esperienza della Giustizia misericordiosa di Dio non può che farsi annuncio, evangelizzazione. La missione della Chiesa infatti è quella della Vedova che ha trovato prontamente giustizia. Il mondo chiede giustizia, i tribunali sono pieni, la politica si gioca nelle aule giudiziarie, da sempre nel mondo si cerca un capro espiatorio per le proprie pene, per i fallimenti, le ingiustizie, i peccati. Tutti cercano giustizia ma nel posto e nel modo sbagliati. E’ missione unica e irrinunciabile della Chiesa illuminare il mondo e annunciargli la vera Giustizia; per questo occorre custodire la fede e camminare in essa.
La fede che il Figlio “spera” di trovare alla fine dei tempi, e nel suo quotidiano ritorno incamminato alla nostra ricerca sulle strade di questa terra, è il nostro abbandono tra le sue braccia; la fede di Abramo, la “fede sulla terra” come canta un midrash sul sacrificio di Isacco, che ha sperato contro ogni speranza nella sterilità prima, e salendo il Moria poi, sommerso dai flutti di disperazione di una morte incipiente, nella quale ha “visto” il giorno di Cristo, la risurrezione impensabile, la Giustizia della Croce. Solo questa fede incarnata nella vedova può schiudere le labbra alla predicazione, all’annuncio del Vangelo. Così la domanda del Signore può anche essere letta: “Il Figlio dell’Uomo quando tornerà, troverà chi annunci il Vangelo? Chi mostri al mondo che sul Monte il Signore provvede? Chi custodisca e trasmetta la fede?”.
Diceva infatti San Giovanni Paolo II: “Le parole pronunziate da Cristo in questa sua domanda, contengono una specie disfida alla Chiesa di tutti i tempi. E questa sfida ha un carattere missionario. Se il Figlio dell’uomo alla sua venuta definitiva deve trovare “la fede sulla terra”, è necessario che tutta la Chiesa sia costantemente missionaria (“in statu missionis”), così come è stato sottolineato dal Concilio Vaticano II. La Chiesa è missionaria, quando accoglie con fede, con speranza e con carità, la parola di Dio: questa Parola che è “viva, efficace, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4, 12). La Chiesa vive nella luce di questa Parola. Vive e si rinnova nella sua potenza. La potenza della parola di Dio si fonda sulla Verità, sulla Verità definitiva, perché è anche la prima. Sulla Verità assoluta, cioè tale per cui in essa “si risolvono” tutte le verità che ne derivano, le verità umane. Sulla verità perciò, assolutamente semplice e limpida, che è accessibile ai “piccoli”, che si rivela a tutti gli uomini “puri di cuore” e di buona volontà, come Gesù ci ha insegnato nel suo Vangelo. La potenza della parola di Dio è nella verità ed è nella missione!” (Giovanni Paolo II, Omelia del 19 ottobre 1986).