Il discorso di Gesù prosegue sul tema dei “giorni del Figlio dell’Uomo”, il tempo del compimento, della ricapitolazione in Cristo di tutte le cose, secondo l’espressione di San Paolo. Il linguaggio si fa difficile, in alcuni punti veramente incomprensibile (come l’ultimo versetto in cui si parla del cadavere e degli avvoltoi).
Quello che si intuisce è che Gesù si riferisce a fatti che in qualche modo avrebbero dovuto cambiare la vita delle persone creando un “prima” e un “dopo”: sia Noé che Lot (uomini con le loro luci e ombre, come tanti personaggi biblici) in un certo momento della loro vita si trovano ad essere giusti in mezzo ad un popolo corrotto e violento, gente che “mangiava, beveva, comprava, vendeva, piantava, costruiva, prendeva moglie e marito”, incapace di leggere la gravità del proprio tempo. L’esito è un evento tragico (il diluvio, la distruzione di Sodoma).
Una lettura di questo brano in chiave retribuiva (“siamo cattivi e il Signore ci punisce”) sarebbe infantile e sciocca: dobbiamo invece meditare il fatto che Gesù ci invita a leggere la storia comprendendone i segni, fra i quali il più grande è certamente quello della resurrezione. “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove” (2Cor 5, 17).
Tutte le azioni, pur belle, del mangiare, bere, comprare, costruire, prender moglie e marito non possono più limitarsi ad un orizzonte mondano, ma devono assumere il respiro di ciò che verrà dopo che tutto questo sarà finito. Se il fine della vita si esaurirà in queste azioni, inevitabilmente la morte segnerà la conclusione di tutto. Ma se si vivrà con lo sguardo orientato ad un oltre—e per questo motivo si potrà anche rinunciare a qualcuna di queste azioni—allora la vita si manterrà viva oltre l’esperienza terrena.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
I commenti di questo mese sono curati da Luisa Prodi