I COLORI DEL RE CHE FANNO BELLA LA NOSTRA VITA
Scoop. Siamo sempre assetati di notizie da prima pagina, eventi straordinari nella nostra vita, capaci di dare finalmente una sterzata al grigiore dei nostri giorni. In attesa di un evento, un figlio, un lavoro, la guarigione da una malattia, una riconciliazione, un sogno realizzato, una vacanza. Ma il Regno di Dio non è nulla di tutto questo; non è in un terremoto, in una burrasca. Il Regno di Dio si cela nella brezza leggera che ogni mattino dischiude dinanzi a noi la realissima vita che ci attende. La famiglia, i figli, la salute o la malattia, il denaro e la precarietà, il lavoro o la disoccupazione, la solitudine, i fallimenti o le gioie. La vita che viviamo ogni giorno, esattamente quella e nessun’altra, è il luogo del Regno di Dio. Nessun’isola che non c’è.
L’autentica rivoluzione cristiana è “l’assolutamente impensabile”: vivere ogni giorno dentro a quel giorno, sino in fondo. Scriveva il Card. Van Thuan: “Sono in prigione, se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte nella vita mi si presenteranno simili occasioni? No, afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario”. Vivere, in pace e felici, nel grigio quotidiano è la vera novità cristiana, dalla quale tutti vogliono invece fuggire. Stare dove il Signore ci ha posti, senza sperare un altro luogo, senza voli mentali in paradisi illusori annunciati da falsi profeti, padri d’ogni ideologia e d’ogni idealismo. Per chi guarda gli eventi con gli occhi di Cristo il grigio rivela i colori meravigliosi che nasconde. Le ferite gloriose di Cristo sono le soglie dischiuse sul cammino alla Vita eterna dentro la vita quotidiana.
C’è un “prima” intinto nelle sofferenze e nel ripudio, per il Signore e per ciascuno di noi. Un “prima” necessario del quale non possiamo fare a meno: tutti rechiamo la ferita del peccato, ed il male si contrappone quotidianamente al Regno di Dio. Questa tensione ci coinvolge e ci costituisce, offrendoci la possibilità del perdono mentre, al tempo stesso, partecipiamo al combattimento escatologico inaugurato con il Mistero Pasquale di Cristo. Satana è sulla terra per far guerra a quanti possiedono la testimonianza di Gesù, il sigillo del suo amore.
Scappare dal male anestetizzando l’esistenza, o resistergli cercando la giustizia della carne, significherebbe svilire la nostra umanità. Non è eludendolo o combattendolo che si ha ragione del male: il male si assume, ed è stata la via rivelata e compiuta dal Signore. Il rifiuto e la sofferenza hanno condotto il Signore sin dentro l’inferno, per strappare ai suoi tentacoli la vita di tutti gli Adamo e le Eva d’ogni generazione. Quante volte abbiamo rifiutato il Signore, quanta sofferenza Gli abbiamo procurato… E quante volte ha preso su di sé il nostro rigetto e si è caricato il nostro male per ricrearci nella sua misericordia…
Per questo è necessario soffrire molto, essere rifiutati, gettati fuori, per trascinare il male nel trionfo di Cristo, che “con la sua morte ha vinto la morte” (Liturgia bizantina, Tropario di Pasqua). Ogni giorno è pronto anche per noi il rifiuto di chi, ingannato del demonio, non capisce, non accetta, respinge le parole, i consigli, anche gli atti d’amore. Così, attraverso di noi, è Cristo che scende in ogni mattino a prendere il ripudio di questa generazione, per salvare ad ogni costo qualcuno. E’ questa la nostra vita, e un giorno senza sofferenza e senza rifiuto è un giorno perso.
Ma già in questo “prima”, come un seme gettato in terra, è presente ed operante il “dopo” del Regno eterno di Dio. Fermi e crocifissi con Cristo nelle nostre storie, senza seguire i falsi profeti che ci vogliono spingere oggi a destra e domani a sinistra, in un relativismo che stabilisce, a la carte, il bene e il male, per cancellare il Regno della Verità e della libertà di mezzo a noi. Siamo chiamati a perseverare nel cammino di fede di ogni giorno, assaporando, proprio nel dolore lancinante dei chiodi che ci trapassano, l’infinita dolcezza dell’amore di Cristo.
Siamo le primizie del Regno della vita, più forte del regno della morte. Anche dove sembra che non si veda nulla è nascosta la perla preziosa, la vittoria definitiva del Signore. Anche nelle diverse prigioni dove spesso è condotta la nostra esistenza, dove si sperimenta la necessità di soffrire molto ed essere rifiutati dalla carne e dal mondo per essere purificati e vivere autenticamente e pienamente l’essenziale della vita: “Una volta, Madre Teresa di Calcutta mi ha scritto: «L’importante non è il numero di azioni che facciamo, ma l’intensità di amore che mettiamo in ogni azione». Come attingere questa intensità di amore nel momento presente? Penso che devo vivere ogni giorno, ogni minuto come l’ultimo della mia vita. Lasciare tutto ciò che è accessorio, concentrarmi soltanto sull’essenziale. Ciascuna parola, ciascun gesto, ciascuna telefonata, ciascuna decisione è la cosa più bella della mia vita, riservo a tutti il mio amore, il mio sorriso; ho paura di perdere un secondo, vivendo senza senso…” (Card. van Thuan).
Vivere nella precarietà che solo la sofferenza è capace di svelare al profondo del nostro intimo, la radicale e cruda verità del nostro essere, la debolezza e la fragilità dove il Regno di Dio si fa in mezzo a noi, nel “secondo” presente che ci è dato. E così orientare tutta la vita secondo i criteri del Regno, ordinando le priorità a partire dalla sua presenza nella nostra storia: cercare sempre “prima” il Regno di Dio, perché tutto poi ci verrà dato in aggiunta, trasformato dalla linfa che riceve dal Signore, “dato che ogni santo sta sottomesso alla regalità di Dio e obbedisce alle leggi spirituali di Dio, quasi che abiti in una città regolata da buone leggi, presente il Padre e governando Cristo con il Padre”. (Origene, La preghiera 25,1).
Vivere intensamente ogni istante, come una Parola buona che illumina la volontà del Padre, per imparare a non sprecare nulla: “Per te, il momento più bello è il momento presente. Vivilo appieno nell’amore di Dio. La tua vita sarà meravigliosamente bella se sarà come un cristallo formato da milioni di tali momenti” (Card. Van Thuan, Il Cammino della speranza, n. 997). La bellezza che risuona in un cuore colmo di Lui perché “tutto è puro per i puri” (Tito, 1,15), e beati sono gli occhi purificati nella misericordia, vedranno Dio in ogni evento.
Come l’istante nel quale Giacomo e Andrea incontrarono il Signore, e il Regno di Dio era lì, a un passo dalla loro vita. Un incontro e si apriva il Regno atteso e sperato, quella gioia, quella pace, quella sobrietà, che abbracciavano tutto della loro esistenza e la pervadevano di una luce nuova, così che nulla era più come prima; quel Regno che era come un Paese nuovo lasciando però l’esistenza nel Paese di sempre: i volti, la famiglia, il lavoro, gli amici, tutto diverso e trasfigurato, rimanendo però agli occhi della carne, quello che è sempre stato. Quel Regno era carne ed ossa, uno sguardo e parole mai udite, e misteriosamente era in mezzo a loro, in loro come una presenza assoluta, il senso primo e ultimo di tutto: “Ciò che quell’uomo aveva detto loro corrispondeva al loro cuore, all’attesa del loro cuore, così intensamente, così evidentemente, così immediatamente che era come se dicessero: «Se non crediamo a quest’uomo, non dobbiamo credere più neanche ai nostri occhi».” (Mons. Luigi Giussani).
Ma il Regno va custodito dalla dissipazione e il suo scudo è proprio il dolore e l’impossibilità di fondare la vita su nulla e nessuno che non sia Cristo. Pesa una maledizione su chi pone la sua fiducia nella carne e nell’uomo; la illumina il Profeta Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere” (Ger. 17, 5-6). E’ la maledizione di non vedere il bene, il Regno quando arriva e quando è in mezzo alla vita, perché “dove Lui non c’è, niente può essere buono. Dove non si vede Dio, decade l’uomo e decade il mondo” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I). La maledizione di non poter gioire del Regno, di non avere la semplicità per gustare le sue delizie incastonate nel dolore.
La maledizione di una vita invivibile, che spera una moglie diversa, un figlio laureato, un lavoro migliore, una vacanza tranquilla, o anche un diverso se stesso… E’, soprattutto, la maledizione di sprecare le occasioni per poi marcire nel rimorso per quanto si avrebbe potuto fare, godere, gioire. Perché arriveranno giorni di silenzio assoluto, il tempo in cui, anche desiderandolo, vorremmo vedere il Regno, e sarà il vuoto, la notte oscura della fede, l’angoscia, il sepolcro del Signore. Giorni da vivere come vedove, nel digiuno di chi ha perduto lo Sposo, ma non per questo cessa di essere la sua sposa.
Per questo è necessario il “prima” della Croce e della sofferenza, dove sperimentare la presenza unica del Signore; dove la fede diviene adulta, a prova di deserto e aridità, perché fondata sulla Roccia della sua resurrezione fattasi perdono e misericordia innumerevoli volte. Con la caparra dello Spirito Santo, invisibile eppure operante – il sigillo del Regno dentro di noi – potremo incamminarci sui sentieri oscuri, dove nulla si sente e si prova, senza consolazioni e gratificazioni. Nonostante la sua assenza fisica e sensibile, il muro che sembra serrare l’accesso alla sua intimità, vivere l’unione con Cristo in una preghiera granitica, semplice, al di là di ogni sentimento: “Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore”.
Il suo Nome sussurrato ad ogni passo, per vivere con fierezza, e non dimenticare la sua presenza nella solitudine, il Regno nascosto eppure reale, come il sole dietro alle nuvole. L‘esichia, la pace di chi ha posto la sua vita, attimo dopo attimo, nel cuore di Dio e sperimenta che nulla e nessuno potrà mai separarlo dall’amore di Cristo. “Tu non temere gli scherzi di quanto ti frastorna, poiché la compunzione non conosce costernazione ne viltà. Coloro, la cui mente sa pregare davvero, parlano con il Signore a faccia a faccia, come all’orecchio del Re. L’uomo a cui è concessa l’esichia, benché viva ancora nella carne, possiede inabitante in sé Dio che lo guida sempre, in ogni parola, opera o pensiero” (S. Giovanni Climaco, La scala del paradiso).
Vivremo così la beatitudine annunciata da Geremia, contrappasso alla maledizione dell’uomo della carne: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti” (Ger. 17, 7-8). E sarà il passo decisivo al giorno del Signore, al lampo che abbraccerà la terra intera, per raccogliere la nostra storia dal principio alla fine e rivestirla di incorruttibilità. “Facci essere tuoi, Signore! Pervadici, vivi in noi; raccogli nel tuo Corpo l’umanità dispersa, affinché in te tutto venga sottomesso a Dio e tu poi possa consegnare l’universo al Padre, cosicché Dio sia tutto in tutti” (Benedetto XVI, Ibid.).
Viviamo allora ogni nostro giorno puntato diritto sul giorno del Signore, nell’attesa colma di speranza del compimento del suo Regno. “È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone” (Tito, 2, 11-14).