Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 13 Novembre 2022

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Tutto crolla ma non Dio

Gesù si trova a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua.
Le parole di ammirazione di alcune persone nel tempio di Gerusalemme diventano per Gesù l’occasione per tracciare il profilo del “giorno del Signore”.
Usa un linguaggio “apocalittico”, cioè attraverso un linguaggio simbolico indica non qualcosa di spaventoso, ma una rivelazione nascosta: non perché terribile, ma perché custodita nel cuore di Dio.

Gesù non racconta la fine del mondo, ma il significato del mondo.
Non parla della fine ma “del” fine. Quando Luca scrive, il tempio è già stato distrutto.
La comunità cristiana stava vivendo delle situazioni spaventose: la guerra romano-giudaica, le persecuzioni della comunità palestinese, la fuga delle comunità cristiane a Pella.
Luca invita i cristiani a non perdersi d’animo.

Il tempio, la cui ricostruzione da parte di Erode era iniziata circa cinquant’anni prima, era il simbolo e l’orgoglio degli ebrei. Erano stati impiegati 100.000 operai e 1000 sacerdoti addestrati come muratori per i lavori delle parti più sacre.

Il grosso fu ultimato in un decennio ma i lavori decorativi durarono fino al 64 d.C., in sostanza sei anni prima della sua distruzione. Giuseppe Flavio scrisse che l’oro e il marmo facevano sfavillare il tempio visibile anche a diversi chilometri di distanza.
Si diceva: “Chi non ha visto Gerusalemme, la splendente, non ha visto la bellezza. Chi non ha visto la dimora (il Santo), non ha visto la magnificenza”.

Ma Gesù annuncia: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». E’ quello che avverrà davvero nel 70 d.C. quando i Romani distruggeranno il tempio lasciando solo il famoso “muro del pianto”.
Le parole di Gesù risuonarono come una bestemmia per i giudei (infatti, sarà uno dei capi di accusa nel processo davanti al sinedrio). Per gli ebrei significava la fine di tutto eppure il tempio di Gerusalemme è caduto ma non è stata la fine.
Amico lettore, sono caduti e cadranno tanti pilastri religiosi ma non sarà la fine.
Non identifichiamo mai la fede con le strutture.

Fine

Lo dicevano duemila anni fa e ancora oggi: “Sta finendo tutto”, ma siamo ancora qui.
A volte ci sembra di essere alle soglie della fine del mondo. Quando si accende la televisione, tutto appare precario: la pace, il clima, l’economia, il lavoro. I telegiornali sono veri e propri bollettini di guerra e si fa fatica a trovare buone notizie.

Il mondo è questa mescolanza di buio e di luce, anche se il dolore ha sempre argomenti più convincenti del bene. Un telegiornale di sole buone notizie non avrebbe molta audience. Siamo sinceri: a noi piacciono le cronache nere, mica le buone notizie. Ecco perché ogni giorno leggiamo più volentieri un giornale che una pagina di vangelo, anche se solo questo narra chi è l’uomo, i giornali al massimo raccontano cosa è diventato.

Alcune persone sono convinte che il mondo e la Chiesa stiano andando a rotoli ma non è vero. Stiamo andando tra le braccia di Dio.

Anche se crollano molti riferimenti religiosi non vuol dire che Dio stia scomparendo.
Tutta la nostra storia sta andando verso la pienezza della vita, stiamo camminando verso il fine della nostra vita e non verso la sua fine.

Per i giudei, il tempio era la casa di Dio, un oggetto di fede, un luogo idolatrico, una falsa garanzia di salvezza. La fede di molti contemporanei di Gesù era indirizzata al tempio, non al Dio di Jahvè. Geremia lo aveva detto secoli prima: «Non basta ripetere: ‘Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore!’, e pensare che esso possa salvare, ma occorre vivere secondo la volontà di Dio, praticare la giustizia» (Ger 7,1-15).

Luca racconta ciò che i primi cristiani vivevano: persecuzioni, accuse, torture. Angosciati, iniziavano a chiedersi: “Ma Dio dov’è?”. L’angoscia, anche pastorale, è molto diffusa oggi: “Va sempre peggio, dove andremo a finire? Una volta non era così”.

Segni

Gesù tranquillizza: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate».

Luca mette in guardia la sua comunità: l’effervescenza pseudo-profetica all’interno delle comunità cristiane, sarà un fenomeno sempre presente nella storia della Chiesa.
Un consiglio amico lettore: evita chi annuncia sciagure, fini del mondo, giudizi universali imminenti.

Sono profeti di sventura che si fanno ambasciatori di Dio e, in nome di Dio, lanciano anatemi ma questo è terrorismo religioso che non ha nulla a che vedere con la bella notizia del vangelo.

State sereni, dice Gesù. Terremoti, carestie, pestilenze, non sono i segni della fine, come qualche predicatore insiste ad affermare. I discepoli però sono curiosi: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?».

Gesù non esaudisce la loro curiosità. Non fornisce date, o segni apocalittici così di moda ieri e oggi ma chiede, a chi ascolta, di andare in profondità, di leggere i segni dei tempi e vivere con vigilanza l’oggi. Dio non ha bisogno di spaventare per farsi amare e d’altra parte che senso avrebbe? La tentazione di confondere Dio con il terrore è sempre presente.
Gesù non spiega come o quando verrà la fine (a cosa servirebbe saperlo?), ma sposta l’attenzione sul “come” ci si prepara. Non deve essere il “quando” a incuriosire o, peggio, a occupare le nostre energie spirituali e pastorali. La nostra attenzione dev’essere tutta sul “come” prepararci.

Amico lettore, come stai vivendo? Come gestisci il tempo? Come leggi gli avvenimenti della tua storia? Sono domande profonde che ti porteranno al centro della fede.

Capelli

«Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto». Ecco la bella notizia.
Anche quando la lotta contro il male sembra senza esito, nessuna resa, perché il filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. Continueranno a esserci guerre, persecuzioni, ma non un solo capello ci sarà strappato. Che bello!

Come non ripensare al canto di Isaia 43: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore. Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo».

La bella notizia di questo brano? Nessuno ha potere su di noi, perché siamo nelle Sue mani. Nessuna paura.

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