Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 6 Novembre 2022

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I sadducei riconoscono fra i libri della Torah solo i primi cinque, nei quali non si fa riferimento esplicito alla resurrezione. Per questo interrogano Gesù, in modo evidentemente capzioso, intorno a questo argomento, presentando l’episodio paradossale di una donna sposata a sette fratelli e morta senza aver generato figli da nessuno di essi.

Nel caso che esista una resurrezione dai morti, la donna di chi dovrà essere ritenuta moglie? Gesù non si lascia cogliere in castagna e risponde citando proprio il libro dell’Esodo, ritenuto sacro anche dai sadducei, in cui Dio si presenta a Mosé nel roveto ardente come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.

Se a distanza di secoli Dio si qualifica come Dio dei padri, significa che questi padri sono tuttora in relazione con lui, quindi sono vivi, anche se morti nella loro esperienza terrena. È quindi sulle relazioni, non sulle prescrizioni di legge, che si deve giocare ogni esperienza, e in primo luogo quella del matrimonio, e queste relazioni non sono destinate a terminare.

Se la legge del levirato chiedeva che la donna rimasta vedova e senza figli si unisse ad un fratello o al parente più prossimo del defunto per dargli una discendenza che garantisse una sorta di immortalità (la donna trattata come puro strumento di procreazione), Gesù introduce un pensiero nuovo, in cui anche le relazioni che intercorrono nella vita terrena (marito e moglie, genitore e figlio, …) devono essere considerate nella prospettiva di una vita eterna, di un banchetto di nozze dell’Agnello con la sposa.

“E avverrà in quel giorno—oracolo del Signore—mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone” (Osea 2, 18).

FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi

I commenti di questo mese sono curati da Luisa Prodi