Dio non è dei morti, ma dei viventi!
Siamo ormai vicini al termine dell’anno liturgico e la liturgia ci sollecita a pensare alla realtà ultima, all’aldilà. Alcuni apertamente dicono che l’aldilà non esiste: se realmente l’aldilà non esiste, allora la vita è frutto del caso; la virtù è una fatica inutile; lo scopo della vita è godere più che si può; uccidere o uccidersi non fa più problema; la vita non ha più senso. Per noi cristiani tutto questo è accettabile? Certamente no! Noi crediamo nell’esistenza della vita eterna e questa nostra scelta dà fastidio a chi non crede perché la “verità” dà fastidio alla “menzogna”.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato che «sette fratelli, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite». Ebbene, questi giovani non cedono alle torture, anzi, sono pronti a dare la vita per il loro Signore: «Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri» perché il Signore, «il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna. […] È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati».
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Nel salmo responsoriale abbiamo ripetuto: «Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto». I nostri morti, coloro che si sono addormentati in Cristo, tutti i defunti dei quali solo Dio ha conosciuto la fede, si saziano nella contemplazione del volto luminoso di Dio e dell’Agnello, che è «la risurrezione e la vita» (cf Gv 11, 25), il primogenito dei morti e dei risorti (cf Ap, 1, 5, Col 1, 18).
Nel brano del vangelo Gesù ci presenta la risurrezione dei morti come frutto dell’alleanza di Dio con gli uomini. L’evangelista Luca scrive che dopo il suo ingresso messianico a Gerusalemme, Gesù si reca al tempio. Qui i rappresentanti dei vari gruppi religiosi di Israele, sempre più irritati dalla sua autorevolezza e decisi a «farlo morire» (cf Lc 19, 47), lo interpellano su varie questioni per coglierlo in fallo. Un gruppo di sadducei, che sulla base di un’interpretazione letteralistica della Legge di Dio, la Torah, «negano che vi sia la risurrezione», pongono a Gesù un quesito volto a mettere in ridicolo la posizione di quanti credono alla risurrezione. Gli dicono, citando la cosiddetta «legge del levirato» (cf Dt 25, 5-6): quando un uomo muore senza aver lasciato discendenza, la vedova deve sposarne il fratello in modo da dargli un figlio che prenda il nome del fratello morto e non lasci estinguere il suo nome in Israele.
Orbene, stravolgendo questa norma finalizzata alla vita, i sadducei creano ad arte il caso grottesco di sette fratelli che muoiono senza lasciare figli, dopo aver sposato in successione la stessa donna: nella risurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie? La risposta di Gesù non si fa attendere: egli afferma innanzitutto che la sessualità è transitoria in quanto appartiene alla condizione terrestre degli esseri umani. Questo mondo, vuol far capire Gesù ai sadducei, è provvisorio, dove tutto ha breve durata. La vita eterna, invece, è un’altra cosa e il matrimonio stesso non ci sarà più, perché appartiene a questa fase della storia umana. Non è dunque la procreazione che garantisce la vita eterna, ma la potenza di Dio: questo significa che gli uomini saranno «uguali agli angeli e figli della risurrezione», in una comunione finalmente piena con Dio nel Regno.
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Gesù, inoltre, ricollegandosi alla storia dei patriarchi afferma: «Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Ciò significa che l’alleanza che Dio stringe è eterna e non può trovare ostacoli alla morte: Dio non ci ama per il breve spazio della nostra esistenza terrena, egli ci ha amati da sempre e ci ama e ci amerà per sempre.
Ebbene sì, credere nella risurrezione è «credere all’amore» (cf 1Gv 4, 16), l’amore vissuto da Gesù, l’amore che porterà noi tutti a risorgere con lui per la vita eterna.
Don Lucio D’Abbraccio
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