La resurrezione
I testi di questa domenica, al termine dell’anno liturgico, mettono dinanzi alla riflessione uno dei problemi principali della nostra vita: la resurrezione e il suo senso. Molti credono alla dignità della persona di Gesù Crocifisso, ma negano la possibilità della sua resurrezione e di una vita dopo la morte.
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Più che addentrarsi nella polemica dei Sadducei e dei falsi problemi che pongono a Gesù vale la pena riflettere sulla vera natura della resurrezione e consolidare il suo legame con l’amore per i fratelli.
Gesù ci insegna che i risorti non si sposano, perché non possono più morire, ma sono come gli angeli di Dio, ereditieri non di una donna o di una famiglia, ma di Dio e del Cristo stesso risorto dai morti. Risuscitare vuol dire entrare in Cristo risorto e partecipare della pienezza di Dio che Lui possiede. Un mio amico vescovo, giunto alla fine della vita, quando si accorse di essere arrivato agli ultimi momenti, rivolgendosi ai presenti, allargando le braccia, disse: “Ecco! Sto entrando nella resurrezione”. La Resurrezione non è un fenomeno biologico, né una rianimazione né un ritorno ad una vita simile a quella di ora. È una realtà tutta spirituale che si fonda unicamente sulla nostra fede in Dio.
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Tanta gente ammira Gesù e lo apprezza per i suoi valori, ma si rifiuta di riconoscerlo come Signore ed ha l’atteggiamento degli uditori di san Paolo: se parlava della persona di Gesù lo ascoltavano con interesse, ma quando evocava la sua resurrezione, i greci la ritenevano una follia e i giudei una bestemmia e uno scandalo. Mentre Paolo mantiene ferma la sua fede che la resurrezione è il cuore del messaggio cristiano: “Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede” (1 Cor 15,17).
Se, infatti, Cristo il mattino di Pasqua è risorto vivo dalla tomba, la morte non ha più la vittoria su tutto: “Morte dov’è la tua vittoria?” (1Cor 15,55). Se noi crediamo che Cristo è risorto, sparisce l’angoscia e il dolore; anche se si fa sentire, lascia il posto alla speranza. Ogni vita agli occhi dei cristiani sfocia in una prospettiva di eternità: “Chi crede in me, anche se muore vivrà” (Gv 11, 25).
Il Cristo è vivo e abita nel cuore dei cristiani; estirpa l’egoismo per lasciare il posto all’amore totale. Per essere veramente risorto bisogno morire a se stessi e scrivere la resurrezione nel concreto, nella quotidianità della nostra vita.
Il cristiano con la morte entra nella pienezza del Cristo risorto. San Giovanni dà il criterio della certezza della resurrezione per il cristiano con questa formula: “Sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” (1Gv 3,14). Così l’amore dei fratelli non ha soltanto il valore di testimonianza della vita cristiana, di un umanesimo o del senso sociale, ma anche il ruolo di criterio della nostra fede nella resurrezione.
Colui che crede nella vita eterna, al di là della morte, colui che crede al cielo, vive diversamente sulla terra, perché sa che la vita sulla terra è un pellegrinaggio che finisce nell’aldilà. Sa che il vero tesoro non è il denaro, non è il potere, non sono gli onori, ma l’amore, l’amore disinteressato, l’amore che dimentica se stesso, l’amore che si sacrifica, che perdona e ricostruisce; l’amore che condivide, l’amore dono di sé ai poveri, e allo stesso nemico. L’amore che salva senza mai uccidere, l’amore che fa vivere, l’amore puro, nobile, forte, giusto, dolce e pacifico. L’amore secondo le beatitudini. Questo è l’amore supremo, l’amore stesso con cui Dio ci ha amati. È ciò che fa vivere alla maniera di Gesù, cioè della vita divina, della vita eterna. Perché la vita eterna è già cominciata per colui che crede al cielo e vive su questa terra giorno per giorno.
Spesso si domanda in che cosa il cristiano differisce dagli altri: nella sua fede in Cristo risorto ed è una differenza capitale che si rivela in tutto il suo modo di vivere. Vivere da risorti, vivere portando resurrezione, essendo la comunità della Resurrezione.
Ogni domenica i cristiani rinnovano la loro fede recitando il simbolo apostolico e ripetono: “Credo nella resurrezione della carne e nella vita eterna”. Lo professiamo perché Dio stesso è Dio dei viventi e non dei morti: Cristo risorto è il Primogenito di una folla di viventi che canta la gloria del nostro Dio.