Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 29 Ottobre 2022

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Scegliere l’ultimo posto, senza protagonismo

Luca presenta il testo come una parabola raccontata da Gesù, ma sembra piuttosto una lezione di galateo indirizzata agli invitati presenti a questo pranzo. Davvero Gesù si preoccupa di dare consigli giudiziosi sul modo di non fare brutta figura in pubblico (cf. v. 10)? Capiamo che questa interpretazione del testo non si addice alla figura di Gesù.

Non gli importano l’immagine di sé, la visibilità, gli onori dei grandi, tutta la sua vita ne dà testimonianza, fino alla croce. Gesù è “osservato” (v. 1) da sguardi ostili, e lo sa. Da uomo libero, invece di sentirsi inibito o di pensare a una controffensiva per difendersi, preferisce insegnare, cioè tendere una mano a quelli che gli sono ostili.

Come? Da un lato tentando di farli ragionare e mettendosi dalla loro parte con il semplice buon senso, dice: “chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito un giorno di sabato?” (v. 5). Insegna loro ad interpretare in un modo genuino la Legge: Dio vuole il bene con la sua Legge e non il male causato da una legge troppo stretta. E dall’altro con un insegnamento che si riferisce alla sapienza del re Salomone nel libro dei Proverbi (cf. Pr 25,6-7): “Non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: “Sali quassù”, piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante.”

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Gesù attualizza per loro questa parola: “quando tu sei invitato”, implicitamente chiede loro di mettere in pratica la Parola di Dio data dai Proverbi. “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,27). Gesù esercita una correzione fraterna, non per avere potere su di loro, ma perché si preoccupa della loro vita spirituale, possiamo dire della loro “beatitudine”. La sua parola rispettosa e franca (non è accusa) è come “una spada a doppio taglio che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12-13).

Gesù viene osservato con uno sguardo di sfiducia e di sfida, che sgorga dai cuori impauriti e stretti dalle false sicurezze di un’interpretazione legalistica della Legge, mentre il suo cuore è libero di cogliere con misericordia (tenta infatti di curare) e con fermezza i moti di cuori spiritualmente malati per aprire loro una via di uscita e di salvezza. Discerne il loro bisogno di riconoscimento e denuncia il loro atteggiamento: sono pronti a soverchiare gli altri pur di sentirsi riconosciuti. Così si allontanano dalla possibilità di accedere alla libertà interiore offerta loro dal Signore, quella vissuta da Gesù.

Dio, chiamandoci figlie e figli amati ci mette al primo posto quando accogliamo il suo amore, e ci libera dal bisogno di esercitare il potere sugli altri: quello che spinge a imporci come figure da ammirare, invidiare e venerare per sentirci qualcuno. Cedendo a questa tentazione ci chiudiamo in una prigione: nella nostra esaltazione umiliamo la nostra vita che non dipende più dal Signore ma dallo sguardo altrui.

Gesù ha scelto l’ultimo posto, senza protagonismo, semplicemente perché amava il desiderio del Padre per l’umanità: testimoniare di quest’amore liberatorio. “Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,9)”.

sorella Sylvie

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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