Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 30 Ottobre 2022

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Un incontro di desideri

Il vangelo di questa domenica è il racconto di un incontro di Gesù. Mentre attraversa la città di Gerico, Gesù incontra Zaccheo, uomo ricco, capo dei pubblicani, ma anche piccolo di statura e che deve ingegnarsi per riuscire a superare la barriera costituita dalla folla per poter esaudire il proprio desiderio e riuscire a vedere Gesù (Lc 19,1-10). La narrazione presenta diverse analogie con l’incontro, immediatamente precedente, di Gesù con un cieco (Lc 18,35-43). Là Gesù si sta avvicinando a Gerico (Lc 18,35) e là si trova un uomo con una menomazione fisica, un cieco che, sentendo che sta passando Gesù, grida il suo desiderio di incontrarlo (18,38-39) lottando contro una folla che cerca di zittirlo. Anche qui la folla è un ostacolo all’incontro personale con Gesù. Come nell’incontro con Zaccheo è Gesù che prende l’iniziativa e risponde al desiderio del pubblicano fermandosi ed entrando a casa sua (19,5.9), così qui è Gesù che si ferma e fa condurre davanti a sé il cieco chiedendogli cosa voglia (18,41). Sia per il cieco che per Zaccheo, quell’incontro è esperienza di salvezza. “La tua fede ti ha salvato” (18,42) dice Gesù al cieco; “Oggi per questa casa è venuta la salvezza” (19,9) dice Gesù a Zaccheo. Se il cieco, o meglio, colui che era stato cieco, dimostra di aver ritrovato la vista mettendosi alla sequela di Gesù (18,43), Zaccheo entra anch’egli in un processo di conversione e, standosene in casa, dimostra di vedere ormai coloro che ha frodato e si impegna a ripagarli in maniera sovrabbondante (19,8). Per entrambi avviene il passaggio dal desiderio di conoscere e incontrare Gesù (18,37.38; 19,3) alla confessione del Signore (Kýrios: 18,41; 19,8). Questi due incontri si colorano così di una valenza ecclesiale significativa e i due personaggi diventano figure del credente.

La pagina evangelica inizia con l’annotazione dell’ingresso di Gesù in Gerico. E mentre attraversa la città, l’evangelista guida il nostro sguardo a soffermarsi su un personaggio ancora non comparso in scena nel terzo vangelo: Zaccheo. Luca lo presenta al lettore in maniera dettagliata. Di lui ricorda il nome proprio, Zaccheo, che significa “puro”, “giusto”; quindi ricorda la professione, Zaccheo occupava un posto di rilievo tra i funzionari addetti alla riscossione delle imposte (“capo dei pubblicani”); poi ricorda la sua situazione economica e dice che “era ricco”. E certo, presentando colui il cui nome rinvia all’idea di purezza e di giustizia, come pubblicano e ricco, l’evangelista fa percepire al lettore che il suo nome stride con i suoi comportamenti, cosa che sarà confermata da Zaccheo stesso quando confesserà di avere estorto e rubato. Ma l’annotazione più significativa è che costui è presentato anzitutto e prima di tutto come uomo: “un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco” (v. 2). Se più avanti Gesù dirà che anche Zaccheo “è figlio di Abramo” (v. 9), qui si dice che egli è anche e anzitutto un uomo. I suoi comportamenti saranno stati reprensibili, avrà compiuto ruberie, si sarà arricchito in modo disonesto, ma egli rimane un uomo ed è facendo fiducia alla sua umanità che Gesù potrà incontrarlo e toccare il suo cuore fino al punto che, liberamente, Zaccheo deciderà di cambiare i suoi comportamenti. Del resto, l’identità di una persona è fatta di numerosi strati, sono molti gli elementi che contribuiscono alla costruzione di un’identità, ma l’essenziale, ciò che rimane basilare è l’umanità di ogni persona. Ed è proprio la sua umanità singolare

che Zaccheo sta facendo parlare: non è in quanto ricco o socialmente importante che sta cercando di vedere Gesù. Il suo cercare di vedere Gesù (v. 3), è ben diverso dalla ricerca attuata da Erode che “cercava di vederlo” (Lc 9,9) e che si rivelerà essere la curiosità superficiale e banale, grossolana e volgare di chi “sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui” (Lc 23,8). Zaccheo sta mettendo in atto una ricerca ben più radicale e sta lasciando parlare un suo desiderio profondo. Il testo afferma che Zaccheo “cercava di vedere Gesù, chi fosse (tís estin)” (v. 3), insinuando il desiderio di una conoscenza profonda di Gesù. E anche Gesù non si ferma al giudizio esteriore che potrebbe rinchiudere Zaccheo nel cliché del peccatore, non si rassegna a considerarlo solamente un disonesto, come farà la folla (v. 7). Gesù non segue la communis opinio, le dicerie che si saziano di giudizi approssimativi e di etichettature, ma manifesta il suo desiderio di incontrarlo, di avere comunione con lui. E così narra il desiderio di Dio di incontrare ogni essere umano, in particolare i peccatori. Non aveva forse detto: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5,32)? Il testo ci presenta così l’incontro del desiderio di Dio e del desiderio dell’uomo, che è, per entrambi, desiderio di salvezza.

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Dunque, Zaccheo cerca di vedere Gesù ma “non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura” (v. 3). Zaccheo è piccolo e mentre cerca di vedere Gesù in mezzo alla folla, vede solo tante schiene. La folla gli è di ostacolo. Deve escogitare uno stratagemma per realizzare il suo desiderio e incontrare Gesù. Il comportamento di Zaccheo diviene a questo punto istruttivo ed esemplare. Per incontrare Gesù occorre uscire dalla folla, occorre osare la propria singolarità, occorre assumere i propri limiti per trovare il proprio personale cammino, occorre il coraggio di “cantare fuori dal coro”. La grandezza del piccolo Zaccheo sta nell’intelligente assunzione del limite della propria statura e nel trovare aiuto in un albero di sicomoro su cui sale per poter vedere Gesù. I limiti precisi che ci abitano (fisici, morali, intellettuali, …), se riconosciuti, nominati, assunti con maturità e intelligenza, non solo non ci impediscono di incontrare il Signore, ma ci consentono di far avvenire tale incontro nella verità. Questa assunzione ci rende anche intelligenti nel saper ricorrere alle creature che ci vivono accanto perché suppliscano alla nostra indigenza. A questo punto, infatti, Zaccheo fa lavorare la sua intelligenza e la sua immaginazione. Zaccheo, dice il testo, “corse avanti”, cioè precedette il corteo che accompagnava Gesù e salì su un albero calcolando dove Gesù sarebbe passato. Abbiamo qui la messa in pratica del suo lavoro interiore che lo spinge all’azione, un’azione intelligente e creativa. Zaccheo ha guardato e preso atto della situazione, ha formulato un’ipotesi di soluzione e l’ha messa in pratica, ha agito. Il desiderio ha mosso la sua intelligenza e la sua creatività. Assunzione dei limiti, intelligenza, immaginazione, creatività, e infine, coraggio. Sì, coraggio per mettere in atto quello che aveva escogitato. E in quel gesto un po’ infantile, che non si addice a un capo dei funzionari pubblici incaricati dell’esazione delle imposte, c’è il suo esporsi, il suo rischiare. Zaccheo ridiventa bambino, corre, scala un albero, si mette in alto per vedere Gesù. E la sua esposizione è vista, e mentre Gesù si rivolge a lui possiamo immaginare che tutta la gente, la folla, anch’essa si sia volta a guardare e abbia riconosciuto l’odiato pubblicano. E forse abbia anche deriso quell’uomo postosi in una situazione piuttosto ridicola. Ma nella sua gioia infantile, la sorpresa per ciò che gli sta accadendo supera di gran lunga e spegne sul nascere l’eventuale vergogna. Anche lui è “pieno di gioia”, dice il v. 6, come colui che ha trovato un tesoro zappando il campo (Mt 13,44). Zaccheo ha incontrato Gesù.

Colui che cercava di vedere Gesù, scopre di essere visto e conosciuto da Gesù stesso (“Gesù alzò lo sguardo e gli disse: ‘Zaccheo…’”: v. 5), che addirittura gli manifesta l’intenzione di fermarsi a casa sua, quasi fosse una sua vecchia conoscenza. Il cammino che Zaccheo inventa per incontrare Gesù sfocia nella scoperta che Gesù era già in cammino per incontrarlo: “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto” (v. 10). Spesso le nostre ricerche e i nostri cammini spirituali trovano il loro esito nella scoperta che il Signore già ci cercava ed era in cammino verso di noi. Queste nostre ricerche sono il nostro predisporre tutto all’evento della grazia. La forza dello sguardo di Gesù, che in Zaccheo non vede il pubblicano, il peccatore, l’uomo di bassa statura, il ricco, ma un uomo e “un figlio di Abramo” (v. 9), conduce Zaccheo a ritrovare la vista, a redimere il suo sguardo. Ora egli

vede che dietro al denaro di cui si è appropriato vi sono delle persone, ora vede i poveri e interviene concretamente in loro favore (v. 8). I gesti di conversione che Zaccheo attua non nascono da un rimprovero di Gesù, ma dall’incondizionata e stupefacente accoglienza che Gesù gli riserva. Certo, a fronte di questo, resta sempre la possibilità di uno sguardo non evangelizzato, uno sguardo che in Zaccheo non vede che il peccatore e in Gesù una persona di cui scandalizzarsi: “Vedendo ciò, tutti mormoravano: ‘È andato ad alloggiare da un peccatore’” (v. 7). Ha scritto don Primo Mazzolari commentando questo testo: “Io posso anche non vedere il Signore: lui mi vede sempre, non può non vedermi. Io posso scantonare, lui no. L’amore si ferma sempre e viene inchiodato dalla pietà. Io guardo e mi scandalizzo, guardo e giudico, guardo e condanno, guardo e tiro diritto: lui mi guarda, si ferma e si muove a pietà”.

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A cura di: Luciano Manicardi

Per gentile concessione del Monastero di Bose