30a Domenica del Tempo Ordinario
Giustificati per amore, non per meriti
In cosa ripongo la mia fiducia? Può porsi tale domanda chi è consapevole che la vita ha bisogno di un altro respiro, perché spesso le vicende in cui ci si imbatte sfiancano e scoraggiano; può interrogarsi in questo modo anche chi ha compreso che, per quanto si raggiungano tanti obiettivi sperati, è la natura stessa della vita ad aspirare a una pienezza che abbia fuori dell’uomo la sorgente e lo sbocco.
Il fariseo della parabola ripone ogni fiducia nella propria capacità di osservare la legge di Dio: non è fuori strada, ha ben compreso che non si può fare a meno del Signore, eppure sbaglia qualcosa perché non «tornò a casa sua giustificato». Il problema viene annunciato all’inizio da Gesù: «l’intima presunzione di essere giusti». Da cosa deriva tale convincimento? Ognuno di noi ha bisogno di sentirsi adeguato dinanzi a Dio e alla vita; questa è un’esigenza pressante, perché diversamente non si riuscirebbe a stare al mondo o l’esistenza stessa diventerebbe un tormento.
- Pubblicità -
Ciascuno può scegliere la via più consona alla propria sensibilità per percepirsi nel giusto rapporto con l’Altro e con gli altri; l’importante è che tale deliberazione non sia un’illusione ma corrisponda alla verità rivelata. Non siamo soli nel cammino, Dio ci indica la strada più adatta per realizzare la nostra vocazione all’amore attraverso i richiami contenuti nella sua Parola e negli eventi della vita. Decisiva diventa dunque la capacità di discernimento della volontà del Signore, da non intendere come un predeterminato e rigido elenco di ordini da eseguire, pena la dannazione eterna, ma come il frutto di un continuo dialogo filiale che esalta la creatività dell’uomo, il quale cercherà con libertà le vie più personali per rispondere con amore all’Amore preveniente del Padre.
Il fariseo non ha esercitato un retto discernimento, ha individuato in un sistema chiuso, quale l’osservanza formale delle prescrizioni mosaiche, un impegnativo ma comodo campo per coltivare la propria giustizia, impedendo a Dio di dirgli qualcosa di più e di diverso. Yhwh non può certo rinnegare la sua legge, ma le circostanze della vita sono sempre nuove e in questi casi si deve compiere un adeguato discernimento per non farsi trovare impreparati all’appuntamento con l’amore.
Ad esempio, il fariseo disprezza «ladri, giusti e adulteri», senza sapere o voler vedere che Gesù confida nella capacità dei peccatori di cambiare vita e di ricevere la salvezza. Quando nota la presenza del pubblicano nello stesso luogo di culto, non si lascia sfiorare dall’idea che questi possa cercare Dio con cuore pentito, ma preferisce prenderne le distanze attraverso le pratiche della propria religione. Digiuno e pagamento delle decime, effettuati oltre il dovuto, sono come muri di autoreferenzialità che impediscono l’incontro col prossimo, annullando così la funzione della fede come spazio di accoglienza di Dio e del fratello. Il rifiuto di un volto uguale al suo lo conduce al rifiuto del Signore, che si nasconde nei volti umani. È questo il problema: ancora oggi tanti si credono giusti, ma non si rendono conto che Dio non può essere trovato quando si confida in opere che danno solo una soddisfazione personale e non ci fanno incontrare gli altri nel perdono e nella condivisione.
Il pubblicano ha sbagliato tutto nella vita, ha disatteso consapevolmente la legge di Mosè, sa di non meritare la salvezza, eppure è nel tempio. Vuole lavarsi la coscienza o purificare l’esistenza? Solo Gesù è capace di leggere i cuori e, se rivela il buon esito del suo cammino penitenziale, significa che l’uomo è realmente pentito. Si batte il petto come se colpisse il colpevole, perché è nel cuore che si decide come collocarsi nella vita, e lui prima ha scelto l’avidità e il sopruso.
Come è avvenuto il cambiamento? La parabola non lo dice, ma la sentenza immediata di Cristo, che lo assolve dalle colpe, rivela come le porte della misericordia siano sempre aperte. Paradossalmente, ha più possibilità di varcarle chi è stato lontano per troppo tempo dall’amore di Dio e quando tocca il fondo della perdizione sente la struggente malinconia di un respiro nuovo; chi invece si è mosso sempre nelle sagrestie del tempio, forse si è lasciato ammaliare dai corollari della fede senza entrare nel Santo dei Santi, che in realtà è fuori del tempio, lungo le vie lastricate di peccato umano.
La vita poi ribalta tutto, ed esaltarsi porta a precipitare dai piedistalli creati, rischiando di rimanere a terra per il fatto che non si è abituati a chiedere l’aiuto di Dio. Confidiamo solo in Lui!
Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
AMAZON | IBS | LA FELTRINELLI | LIBRERIA DEL SANTO