Il timore che scaccia il timore
Di fronte a una parola di Gesù così tagliente siamo inevitabilmente tentati di interrogarci su cosa possa essere la bestemmia contro lo Spirito santo che non riceverà perdono. E subito dopo, naturalmente, ci convinciamo che qualunque essa sia, di certo non siamo noi a pronunciare una simile bestemmia, a contraddire lo Spirito santo fino a fargli dire l’opposto di quello che questi suggerisce alle Chiese e a ciascun credente.
Ma forse dovremmo dedicare maggiore attenzione ai versetti precedenti e a quelli successivi: ci accorgeremmo che, come sempre, anche noi siamo i destinatari dell’intero Vangelo e che le parole di Gesù mirano a scuoterci e a rimetterci ogni giorno alla sua sequela, sotto la guida dello Spirito.
Riconoscere o rinnegare il Figlio dell’uomo ci rimanda al famoso discorso di Gesù sul giudizio finale in Matteo 25: riconosce il Figlio dell’uomo chi lo vede nell’affamato, nell’assetato, nello straniero, nello spogliato, nel malato e nel carcerato. Rinnega il Figlio dell’uomo chi di fronte al suo prossimo nella sofferenza non discerne la presenza del Signore. Riconoscimento o rinnegamento della presenza di Gesù nel povero segnano il nostro riconoscimento o rinnegamento da parte di Gesù quando verrà nel suo regno assieme ai suoi angeli.
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“Quando mai, Signore?” è la domanda che segna la nostra distanza abissale rispetto a Gesù. È la domanda che non ci è più lecito porre, dopo che ci è stato proclamato il Vangelo della salvezza. È la domanda che al solo pronunciarla sconfessa l’appellativo di Signore che noi diamo a Gesù. Come posso infatti chiamare “Signore” colui che non sono capace di riconoscere là dove lui mi ha detto che si trova? Se non lo so riconoscere nel mio prossimo ferito nella sua dignità, come posso chiamarlo Signore della mia vita?
Che sia questa la bestemmia contro lo Spirito santo? Il negare la presenza dello Spirito del Signore nel corpo sofferente degli ultimi? Eppure la conclusione della pericope evangelica ci dice anche altro: non bestemmiare lo Spirito significa anche fidarsi del suo aiuto nelle persecuzioni, riconoscere la sua presenza accanto a noi nel momento della prova, sentirlo come angelo accanto a noi che ci riconosce perché abbiamo riconosciuto Gesù nello straniero, nel carcerato, nel derelitto della società. Ci basta avere fiducia nella presenza di Gesù in ogni essere umano caduto preda dei briganti e abbandonato lungo la strada per ricevere già ora il centuplo, in tribolazioni sì, ma nel segno del regno che viene.
Anche perché, come ci ricorda Paolo, “se noi siamo infedeli, Gesù rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,13). Nel giorno del giudizio Cristo si leverà assieme ai poveri che sono la sua carne, il suo corpo nella storia, e riconoscerà chi l’avrà saputo riconoscere sotto le sembianze meno appariscenti, sotto le spoglie del diverso da noi, al cuore della sofferenza umana.
fratel Guido
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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