Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 10 Ottobre 2022

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Uno sguardo purificato

La vita cristiana, come ogni vita umana, è questione di sguardo: noi esistiamo, guardando, come vedenti; ma soprattutto esistiamo, come guardati, se visti e riconosciuti, grazie al posarsi su di noi degli occhi dell’a(A)ltro.

Anche la storia di Dio con gli uomini è storia di un gioco di sguardi, e l’occhio di Gesù posato su quanto lo circonda ci offre un’indimenticabile grammatica dello sguardo, perché ci insegna a guardare l’altro, noi stessi e ogni realtà creata con l’occhio di Colui che è l’Amico degli uomini.

Il mistero della condiscendenza di Dio è racchiuso in un incrociarsi di sguardi, che può diventare luogo di verità della propria miseria, di riconoscimento di sé e memoria dell’altro, di fallimento e di perdono, di lacrime che risanano.

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Il Vangelo ci invita senza posa a purificare il nostro sguardo, perché il nostro occhio torni ad essere semplice e luminoso. Probabilmente conosciamo il bagliore maligno che può traversare uno sguardo acuminato come freccia, che non si posa sull’altro, ma lo trafigge come un bersaglio, lo trapassa come un’arma, per annientarlo sotto il peso di una critica inghiottita nel mutismo, ma non per questo meno “urlata”, per condannarlo a un silenzio umiliante, per ridurlo a polvere e cenere…: «se il tuo occhio se è cattivo, anche il tuo corpo è tenebroso» (Lc 11,34).

Brancolando nel nostro buio, possiamo volgere i nostri occhi al Signore, perché sia lui ad evangelizzare il nostro sguardo, magari facendo scorrere nuove lacrime dai nostri occhi inariditi.

«Ora, se le lacrime vengono agli occhi, se dunque possono anche velare la vista, forse rivelano, nel corso stesso di questa esperienza, un’essenza dell’occhio» (J. Derrida). Il dono delle lacrime ci ricorda, infatti, che «la lampada del corpo è l’occhio» (Lc 11,34). Occhio luminoso, se capace di uno sguardo accogliente e benevolo; occhio che può ridiventare luminoso se bagnato da quelle lacrime che, rigando i nostri volti, esprimono quanto si cela nella profondità del cuore: la gioia, la commozione, lo stupore, ma anche la paura, il dolore, l’inquietudine, l’angoscia, il pentimento.

Ciascuno di noi conosce le proprie lacrime, spesso segrete e nascoste, quando «le lacrime sono il nostro pane, giorno e notte» (cf. Sal 41,4); ne conosciamo il prezzo sofferto e forse di rado osiamo deporle, come perle, nella mano di chi è caro al nostro cuore, di chi è capace di accoglierle, di custodirle, magari anche di asciugarle: «Sì, ha liberato la mia vita dalla morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi dalla caduta» (Sal 114,8).

Così, attraverso le immagini sfocate che intravvediamo con i nostri occhi colmi di pianto, possiamo riconoscere e invocare la consolazione di quel Dio che è «mia luce», anzi «mia illuminazione» (Sal 26,1: illuminatio mea), nella certezza che solo nella Sua luce noi vediamo la luce (cf. Sal 35,10), quella luce che risplende nel Figlio amato, che è «irradiazione della gloria di Dio» (Eb 1,3), Luce da Luce, venuta a rischiarare i nostri passi con la sua luce gentile, mentre – nelle notti del nostro cuore – ci sussurra ancora una volta: «Io sono la Luce del mondo…» (Gv 8,12). Solo in questa Luce si trova il nostro tesoro, e in lei può riposare il nostro cuore (cf. Mt 6,21).

un fratello di Bose

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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