Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 5 Ottobre 2022

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Pregare Dio come Padre

La preghiera che Gesù insegna ai discepoli e alle discepole inizia con un brusco “Padre”. Gesù educa a mettersi alla presenza del Dio in cui crede chiamandolo “Padre”. Più che fermarsi sul perché Gesù insegni una tale preghiera o commentare le singole domande, ci interroghiamo sul significato di chiamare Dio “Padre” da parte dei credenti nel passaggio dalla preghiera alla vita.

Pensiamo a una persona ritenuta “normodotata” e a una con disabilità che pregano Dio chiamandolo Padre. Significa che entrambe si riconoscono fratello, sorella in Cristo, dunque una relazione paritaria. Si crea un “noi” che contesta e cancella l’esclusione generata dalla logica “noi”-“loro”, noi normali, loro svantaggiati. La fraternità esige di uscire dal paternalismo e dall’assistenzialismo in cui l’altro è solo oggetto di cura, non soggetto. Riconosce la dignità dell’altro, il suo essere un “chi”.

Oppure una persona nativa e una migrante che pregano così: si confessano figlie dello stesso Dio, dunque fratello, sorella fra di loro. Come ragionare ancora secondo la logica binaria del “noi”-“loro”? Si forma un noi che supera l’estraneità fra i due. Si sorpassa la riduzione dell’altro a una posizione passiva, destinatario di servizio e attenzione, quando va bene, o di esercizio arbitrario di potere, quando va male. Se si è fratello, sorella in Cristo, in una relazione paritaria, che trascende nazionalità o condizioni fisiche – per restare a questi esempi ma si può benissimo ampliare a ogni situazione in cui si vive ancora secondo lo schema binario “noi”-“loro” -, allora si è entrambi soggetti colmi di dignità.

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Il Vangelo allarga il cerchio: contesta il “noi”-“loro” applicato alla relazione fra la comunità cristiana e gli esseri umani. Infatti, il Padre fa sorgere il sole su cattivi e buoni e piovere su giusti e ingiusti (Mt 5,45). È bontà illimitata che precede le divisioni e le separazioni che creiamo. Vi è un unico “noi” costituito dall’umanità intera. Pregare Dio come Padre è riconoscere questo e vivere a servizio di tale fraternità.

Inoltre è il Padre di Gesù, la “pietra scartata divenuta testata d’angolo” (Lc 20,17): chi è stato considerato inutile diviene colui che crea legami fra le persone, le unisce. A questo Padre andiamo passando per Gesù, il messia scartato, e ritorniamo alle altre persone passando per lo scarto divino, il Crocifisso risorto. Si supera alla radice la distinzione “noi”-“loro”. Nel corpo ferito di Cristo gli estremi convivono. Ciascuno, ciascuna di noi trova accoglienza come fratello, come sorella.

La fraternità precede ma resta inoperosa finché non si fa storia in scelte e azioni. È il modo con cui collocarsi nella realtà. Ogni giorno. Pregare il Padre è custodire e coltivare questo in noi.

Qui è la verità della preghiera: non il rispetto di formule, l’accurata esecuzione, la meditazione assidua, ma l’uscire verso gli altri in cui grazie allo Spirito si demolisce in noi lo schema binario “noi”-“loro” che genera violenza ed emarginazione, disprezzo e intolleranza, risentimento e rancore. Questa è conversione! Il pregare che non inquieta così, Dio lo sputa a terra.

fratel Davide

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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