In questa quarta domenica di Pasqua, la Liturgia della Chiesa ci riporta indietro nella narrazione evangelica di Giovanni, al capitolo dieci, che però leggiamo in una prospettiva nuova, nella luce della vita immortale di Cristo risorto.
Ma al centro del brano di oggi c’è rivelazione che non esito a definire sconvolgente. Dice: “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore”.
Qualcuno ogni tanto fa delle ironie sul significato biblico del verbo “conoscere”, e in realtà questo verbo ha proprio a che vedere con l’amore, un amore integrale, pieno, perfetto, un amore che è dono reciproco.
“Come il Padre conosce me e io conosco il Padre”: poche parole che contengono il mistero dell’amore purissimo, dell’amore assoluto, dell’amore che è Dio: amore donato, amore ricevuto. Amore increato, immortale, amore che genera ed è generato, amore che rende uno, la Trinità.
L’altro termine della frase: “il Pastore conosce le pecore e le pecore conoscono il Pastore”: qui il confronto non è più tra Dio Padre e Dio Figlio, tra uguale e uguale. Tra pecore e pastore esiste una differenza abissale.
Questo è l’annuncio sconvolgente, che parla della nostra immensa fortuna di essere parte del gregge di Dio, di essere amati perfettamente, anche se siamo tutt’altro che perfetti.
Per fare dell’umanità il suo gregge, per accoglierci nel mistero infinito del amore assoluto, il Pastore ha offerto la sua vita, perché questo è il comando che ha ricevuto dal Padre.
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Queste parole di Gesù, che definisce se stesso il buon Pastore, si trovano nel vangelo subito dopo il racconto della guarigione del cieco nato, uno dei segni più forti messi in atto dal Signore, per manifestare la sua identità e la sua missione: non per niente è uno degli episodi che fu alla base della decisione, da parte del sinedrio, di mettere a morte Gesù.
I farisei e i capi del popolo non avevano nessun interesse per quell’uomo che era stato cieco, e anzi, in quella specie di processo che gli intentano, non si curano affatto di accertare i fatti: sono accecati dalla loro ostinazione.
“Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”, dicevano al cieco guarito, per intimidirlo.
E lui risponde con semplicità disarmante: “Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo”. Contra factum non valet argomentum, direbbero i latini.
È questo il contesto in cui possiamo comprendere meglio le parole che ascoltiamo in questa domenica: “Al mercenario non importa delle pecore; io sono il buon Pastore, il buon pastore offre la vita per le pecore”.
Il mercenario lavora per la paga, per l’interesse; di fronte ad un rischio, pensa prima di tutto a se stesso: l’interesse del pastore, invece, coincide con quello delle pecore, anzi, sono le pecore stesse.
Rileva a proposito San Gregorio Magno: Non è possibile distinguere il buon pastore dal mercenario, finché non si presenta un’occasione straordinaria. Finché va tutto bene, pastore e mercenario custodiscono il gregge allo stesso modo. Ma quando sopraggiunge il lupo si svela l’intenzione con la quale ciascuno dei due stava a guardia del gregge.
Attenti allora ai predicatori di un vangelo diverso da quello di Cristo e della sua Chiesa, un vangelo magari suadente e convincente, innocuo quando va tutto bene, ma che poi non può reggere l’urto contro le insidie della vita.
Bisogna notare che quando il Signore ci chiama “pecore”, “gregge”, usa queste immagini non perché ci reputi privi di intelligenza, ma per descrivere il dono del suo amore per noi. Anzi queste parole sono proprio un appello alla nostra fede intelligente a non cascare nelle trappole dei falsi pastori.
Quanti imbonitori insidiano la nostra fede! Quanti ciarlatani pretendono di pascolare il gregge di Cristo, magari con insegnamenti che non disturbano, che accarezzano i sentimenti o perfino gli istinti!
Li si riconosce facilmente, quelli che annunciano un vangelo che curiosamente viene definito “scomodo”, quando poi in realtà risulta comodissimo, politicamente corretto, ma spiritualmente vuoto;
quelli che predicano un vangelo modellato sull’uomo, ritagliato su misura per accontentare i gusti di tutti, e non disturbare nessuno. Magari non negano le verità della fede, ma semplicemente le tacciono, pensando che così sia più facile dialogare con tutti.
Il mercenario — scrive ancora Gregorio — non s’accende minimamente di zelo, non si risveglia in lui alcun fervore d’amore: mentre è alla ricerca soltanto dei propri vantaggi, sopporta con negligenza tutti i danni spirituali del gregge.
A questo punto, conclude il grande Padre della Chiesa, interrogatevi se siete davvero pecore sue, chiedetevi se lo conoscete, se possedete la luce della verità.