Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 27 Settembre 2022

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Il volto di chi sale a Gerusalemme

Noi non conosciamo il volto di Gesù. Il Vangelo non è una biografia come quelle degli uomini famosi del mondo greco-romano che ci hanno lasciato una descrizione fisica del personaggio. Questo vuoto è stato colmato dalla tradizione iconografica, in cui crediamo che si possa trovare una traccia del “volto santo”, della “vera icona” (la Veronica). I Vangeli ci parlano di questo volto soltanto di riflesso: nel racconto della trasfigurazione e in questo testo lucano.

Nella trasfigurazione, secondo Matteo, il volto di Gesù divenne luminosissimo, “risplendette come il sole” (Mt 17,2). Luca, invece, non dice così, dice semplicemente che si trasformò, che “divenne altro” (“mentre egli pregava, l’aspetto del suo volto divenne un altro”: Lc 9,29). Luca, del resto, è il solo a precisare il contenuto della preghiera di Gesù, del suo dialogo scritturistico con Mosè ed Elia. Si tratta di un “esodo”, dell’uscita da questo mondo “che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9,31). Il volto di Gesù si trasforma, secondo Luca, nell’imminenza della sua morte, e della sua morte violenta, a Gerusalemme.

Anche in questo brano siamo posti di fronte a questa necessità della morte di Gesù, della sua “assunzione” al cielo, presso il Padre. Anziché parlare di una metamórphosis, di una “trasfigurazione”, Luca ci parla di una análempsis, di una “elevazione”, ma sempre nella prospettiva della morte a Gerusalemme. La nostra traduzione ufficiale recita così: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”. Dobbiamo essere più precisi, più letterali: “Ora avvenne che, compiendosi i giorni della sua assunzione, Gesù indurì il suo volto per partire verso Gerusalemme”.

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Gesù “indurisce” il suo volto. Nell’imminenza della morte, di fronte a un destino di estrema sofferenza, il suo volto si contrae. Il nostro brano insiste molto, letteralmente, su questo aspetto. Gesù “mandò dei messaggeri davanti al suo volto” per preparare un posto per lui in un villaggio samaritano, ma questi Samaritani “non lo accolsero, poiché il suo volto camminava verso Gerusalemme”. Così si dice, alla lettera: “un volto che cammina”, come Dio disse a Mosè: “Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo” (Es 33,14). Un volto che cammina vuol dire qualcuno che ci precede, che si può soltanto seguire, vedere di spalle. Ma la Vulgata traduce: Et non receperunt eum quia facies eius erat euntisHIerusalem (Il suo volto era quello di uno che va a Gerusalemme).

Il volto di chi sale a Gerusalemme è facilmente riconoscibile. “Quale gioia quando mi dissero: Andiamo alla casa del Signore!” (Sal 122,1). Il volto di Gesù è indurito, contratto: esprime tutta la sua determinazione di fronte alla morte, che per un profeta non può darsi se non a Gerusalemme. Ma nello stesso tempo è anche gioioso, perché sa di realizzare la volontà del Padre, il progetto di tutta la sua vita. Possiamo dunque dire che il suo volto è davvero divenuto altro: è sì indurito, determinato, ma non è triste, abbattuto. È un volto radioso, trasfigurato.

fratel Alberto

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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