don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 25 Settembre 2022

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26a Domenica del Tempo Ordinario

Il ricco ha bisogno del povero

Quante proteste si levano da più parti contro la povertà e il divario tra ricchi e poveri nel mondo! Tuttavia non sempre il lamento è seguito da un’analisi approfondita delle cause di tali disuguaglianze e dalla volontà reale di porvi rimedio. La parabola non si limita a presentarci lo specchio di una società in cui il ricco e il povero non si incontrano, ma cerca di intersecare le loro vie, fino a farci comprendere che non è tanto il povero ad avere bisogno del ricco, bensì il contrario.

Lazzaro, che sta alla porta del benestante, è un costante appello al cuore del padrone di casa, che però è solo interessato ad indossare vesti preziose e a banchettare ‘splendidamente’, dandosi così un tono regale che vorrebbe irradiare tutt’intorno. In realtà è ricoperto di un velo di oscurità perché non ha un nome, è senza volto e senza storia, si identifica con le sue ricchezze e, festeggiando «ogni giorno», è totalmente lontano dal cammino del discepolo che invece è chiamato ogni giorno a portare la croce. A poca distanza dal luogo dei bagordi giace invece l’‘occasione’ della sua vita, perché Lazzaro vuol dire ‘Dio aiuta’. Chi sarà aiutato?

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Il povero, che è destinatario della promessa di Dio, ma anche il ricco, se uscirà dall’indifferenza volgendo lo sguardo e aprendo la mano al mendicante. Sì, i poveri sono la vera medicina dei ricchi, inducendoli alla condivisione e alla generosità, virtù che la Scrittura raccomanda in molte sue pagine. Invece sembra che solo i cani abbiano pietà di Lazzaro. Perché tanta indifferenza? Eppure, come dimostrerà il seguito della parabola, il ricco conosceva il povero, poiché nell’aldilà chiederà ad Abramo di mandarlo a placare la sua sete. Il problema non è non vedere, ma non voler vedere l’altro e se stessi in una luce di verità. Sarà la morte ad emettere il giudizio veritiero sulla nostra vita, e nella dimensione eterna non ci sarà più modo di invertire le sorti. Allora l’esiguo tempo terreno è l’unico che abbiamo per preparare una felice dimora celeste; tale preparazione, che implica la conversione dalle impostazioni di vita sbagliate, comincia dal povero.

Il ricco «alzò gli occhi e vide… Lazzaro», ma è troppo tardi ormai per cambiare. Infatti non è cambiato, mostra una concezione strumentale del povero, che dovrebbe essere asservito al suo bisogno, così come vanta una figliolanza abramitica che però non ha vissuto prima, perché chi non ama i poveri non teme Dio. Ciò si deduce anche dal tentativo di inviare Lazzaro a dissuadere i fratelli dall’incorrere nel medesimo stile di vita, che adesso egli sa essere causa di perdizione. Potremmo pensare che ha finalmente compreso l’insegnamento di Dio, ma abbiamo anche detto che l’aldilà non è più il tempo dei mutamenti.

Infatti, affermando che una speciale rivelazione dal cielo indurrebbe i suoi familiari a non incorrere nello stesso errore dell’indifferenza, implicitamente sta lamentando che egli non ha beneficato di una simile illuminazione. È subdolo, anche perché non è spinto dalla compassione verso i suoi, ma dalla consapevolezza che, avendo dato il cattivo esempio, egli sarà accusato della perdizione dei fratelli e quindi il castigo aumenterà. La risposta di Abramo costituisce il cuore della parabola e un’indicazione imprescindibile per il cammino di ciascuno: nella Scrittura troviamo gli insegnamenti necessari per non vanificare l’intera esistenza. La posta in gioco è altissima: si tratta di rendere la vita degna di Dio, della comunione con Lui.

Questa parabola grida alla nostra coscienza che Dio non ama la ricchezza, o meglio l’uso egoistico che se ne fa e, siccome l’uomo è fortemente tentato da essa, meglio starsene lontani. Al contrario, bisogna stare vicini ai poveri. La Provvidenza ci facilita in questo compito perché non dobbiamo andare a cercarceli, ma sono loro che vengono a trovarci. Spesso lo fanno nei momenti meno opportuni, è vero: ma dove è scritto che siamo nati per starcene comodi?

Le cose cambieranno quando vedremo nel volto del povero il volto di Cristo; le Scritture saranno il collirio per un occhio chiuso o ipovedente, ma se non si prende in mano la Bibbia e non ci si lascia scavare dalla verità che da essa trasuda, si rimarrà ciò che si è. Anzi, si rimarrà ciò che si cerca disperatamente di mostrare, offrendo un’immagine opulenta e vincente di sé, che crollerà non solo alla conclusione della vita, ma molto prima, quando – Dio lo voglia – alla prima difficoltà saranno proprio le persone più umili ad avere pietà delle nostre piaghe. E lì il povero diventerà l’occasione della mia vita.

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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