‘Perché mi invocate: Signore, Signore! E non fate quello che dico?’…
Suonano sferzanti, quest’oggi, le parole di Gesù: ‘Perché mi invocate: Signore, Signore! E non fate quello che dico?’. Come se a salvarci possa essere una formula o un rito, una soluzione magica. In fondo cosa costa gridare: ‘Signore, Signore!’? Nulla. Costa e come, invece, permettere che quel Signore invocato eserciti davvero la sua signoria sul nostro cuore facendo sì che a plasmare opere e giorni sia ciò che il Vangelo propone e chiede. Costa lasciarsi modellare pensieri e sentimenti sui pensieri e i sentimenti che furono in Cristo Gesù.
A un rapporto con il Signore profondo e radicato preferiamo uno epidermico e occasionale. Gettare radici solide è troppo faticoso, per questo continuiamo a restare in superficie riducendo l’osservanza evangelica a una revisione del comportamento non già a un rinnovamento del profondo. Moltiplichiamo esperienze, intercettiamo strategie, invochiamo soluzioni definitive che vengano dall’esterno e non accettiamo, invece, l’unica cosa che il vangelo ci propone: lasciarsi cambiare il cuore.
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E così ci lasciamo condizionare dall’immediato piuttosto che da ciò che ha una sua consistenza; investire su processi che richiedono energie e tempi lunghi ci spaventa: meglio accontentarsi di qualcosa raggiungibile col minimo sforzo. Quanto rinnovamento di facciata, dentro e fuori la Chiesa! Muta il teatro ma il copione è lo stesso. Quanto cambiamento di etichette e nomenclature a cui non corrisponde alcun processo di rinnovamento interiore!
Quanta superficialità nel leggere il reale e nel proporre vie nuove!
Accettare la presenza del Signore nella propria vita equivale a un vero e proprio andare a bottega, imparando a dissodare il terreno del proprio cuore perché permetta al seme del Vangelo di attecchire mettendo radici profonde che non temano gli inevitabili scossoni che proprio a motivo della fedeltà al Vangelo possono registrarsi. Sei disposto a lasciarti ammaestrare?
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Autore: don Antonio Savone