Più giù è il punto di vista della santità, un modo di vivere che Gesù racchiude in una parola, beati o, detto con un termine più aderente al testo greco, felici. Beati o felici? Il senso delle beatitudini non trova facilmente casa, tende a oscillare tra i due poli: o lo si presenta troppo in alto nel cielo o troppo mondano, o come via per esaltare il più eroico martirio o santità facile (quasi un anagramma di felice) a buon mercato.
La risposta sembra stare nella povertà, la condizione che sintetizza tutte le beatitudini, ma questo non risolve le ambiguità della questione: chi è il povero? Cos’è la povertà? È spirituale, è effettiva? È affettiva? La povertà è tutte queste cose insieme, l’importante è che questa varietà di interpretazioni non ci faccia perdere l’opportunità di confrontarci con la nostra povertà personale, quella propria di ciascuno, un po’ come una vocazione.
Mi piace pensare che Gesù nelle beatitudini, declinando la povertà ci dia la possibilità di collocare nella lista anche la nostra, quella povertà più inconfessabile e nascosta, quella con cui siamo chiamati a fare i conti tutti i giorni.
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E allora anche i guai hanno senso, guai a chi non entra in contatto con la propria povertà.
Giuseppe Amalfa SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato