Guai: il termine utilizzato potrebbe far pensare alla condanna alla maledizione. Eppure questa parola, nella sua ruvida schiettezza, punta nella direzione triplice della giustizia, della misericordia, della fedeltà; pur denunciando una certa cecità, invita a costruire uno sguardo attento all’interno del bicchiere perché anch’esso sia pulito. Gesù, piuttosto che demolire alla maniera di un tribunale che emani un verdetto insindacabile, provoca a edificare qualcosa per sé stesse, sé stessi e per la comunità.
La vita esige obbedienza: lo studio, il lavoro (con le scadenze, gli orari e i turni da rispettare senza possibilità di scorciatoia, le frustrazioni, le vittorie), gli impegni; gli appuntamenti che, pur essendo al di fuori del recinto dell’obbligo, entrano a far parte della mia esistenza; i desideri, i sentimenti, i ricordi che talvolta investono furiosamente le giornate o in altre sono una brezza leggera che accarezza.
Anch’io, come i farisei, mi scopro a metà strada tra ciò che faccio o devo fare e ciò che mi abita.
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Intravedo almeno due orizzonti che vanno a descrivere due diverse relazioni tra queste regioni dell’esistenza: gli appuntamenti possono da una parte essere luogo della divisione, esprimere l’opposto di ciò che mi abita o addirittura contribuire a istituirne una sorta di censura; dall’altra gli impegni possono rivelare un filo dorato, districando il quale, tra le amarezze, le fatiche, le gioie, le riscosse, ciò che si muove in me prende forma, assume la direzione della sviluppo e della crescita.
Ambedue gli orizzonti presuppongono, oltre gli eventi che sottolineano ciò che devo fare, il peso del mio contributo, la responsabilità, ossia la mia risposta al mare del fare.
Carmine Carano SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato