Bussare alla porta e trovare chiuso.
Abbiamo lasciato Gesù che parlava delle divisioni che avranno luogo a causa della fede in lui, ed ecco che il lezionario salta alcune pagine del vangelo lucano per portarci al cap. 13. Inizia qui una sezione, che arriva fino al cap. 17,10, che Matteo Crimella intitola «Invito ad entrare nel Regno». La notizia del viaggio verso Gerusalemme non è semplicemente un riassunto, ma un segnale che siamo di fronte alla seconda sezione del viaggio verso Gerusalemme, che si caratterizza dalla logica paradossale del ribaltamento attraverso cui Gesù porta la salvezza. La missione stessa di Gesù non è forse un ribaltamento delle prospettive tradizionali, che vedono un Dio lontano, mentre Gesù è il “Dio con noi”? Le famose tre parabole delle cose e persone perdute e ritrovate, al cap. 15 (la pecora, la dracma e il figlio) non dicono forse un vero capovolgimento dato dal perdono per i peccatori?
Questa sezione contiene inoltre ammonimenti rivolti al lettore del vangelo, con l’invito radicale a seguire Gesù, mutando il proprio pensiero e sistemi di valori, e parabole.
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La pagina del vangelo di oggi si può dividere in quattro parti. La prima al v. 1, è un riassunto, in cui Luca scrive che Gesù attraversava (διαπορεύομαι) città e villaggi in cammino verso Gerusalemme. È lo stesso viaggio di pellegrinaggio iniziato in Lc 9,51, che si concluderà a Pasqua. Ancora, Gesù passava insegnando per città e villaggi. Il sommario non ha solo una funzione narrativa, ma teologica, come ripresa delle intenzioni di andare a Gerusalemme espresse da Gesù all’inizio del suo viaggio.
La seconda parte è composta dalla domanda di un tale sulla salvezza. Potrebbe essere stata provocata – pensa qualche esegeta – da quello che Gesù stesso diceva (come si è visto nell’ultima domenica) sulla vicinanza del giudizio e sulla divisione che avrebbe portato in famiglia. La domanda è simile a quella già formulata dal dottore della legge, in Lc 10, su come ereditare la vita eterna (e alla quale segue la parabola del Buon Samaritano). Il senso della domanda mostra che la questione doveva circolare al tempo di Gesù, in particolare, forse, tra coloro che pensavano che la salvezza fosse solo per Israele e non per i pagani, peccatori.
Ma Gesù porta la discussione a un altro livello: risponde che non basta appartenere a un gruppo, come non basta aver mangiato alla sua tavola, per essere salvati. Ecco che la terza parte del vangelo di oggi è composta dalla risposta di Gesù, giocata su una non risposta alla domanda. Gesù non dice quanti sono quelli che si salvano, e non si pone su un piano speculativo, ma piuttosto pratico, dando l’avvio ad una parenesi sulla lotta («Sforzatevi – il verbo alla lettera, agonizomai, significa “combattete” – di entrare…»), perché la porta è stretta.
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Nella risposta è compresa poi una parabola (che può essere vista come la quarta parte della pagina di oggi), sulla porta di una stanza che si chiude, nella quale si trova il padrone di casa (Gesù), mentre chi voleva entrare resta fuori. La parabola è ancora una volta giocata su un principio molto amato da Luca, quello del ribaltamento, qui formulato in modo quadruplice: 1) Non si entra automaticamente e chi voleva entrare non entra; 2) la porta non la apre chi vorrebbe entrare, ma è aperta da dentro, da Dio; 3) quelli che ci si aspettava dovessero stare fuori entreranno: anche da oriente e da occidente, da lontano, e quindi non solo i vicini; 4) solo alla fine si saprà quanti e chi sono quelli che sono salvati.
L’immagine del banchetto è ovviamente biblica, e si trova ad esempio in Isaia 25: «Il Signore preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati». Qui si ribadisce che l’invito è per tutti, e non solo per chi appartiene al popolo di Israele, come alcuni potevano pensare (certamente lo credevano quelli della setta degli Esseni).
Ma la parabola pone una questione delicata. Chi sono gli esclusi? E perché vengono lasciati fuori? Si può dedurre la risposta da quello che il “padrone” dice nella parabola?, ripetendo due volte «non so di dove siete» e poi la frase «Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia»? Anzitutto, bisogna stare attenti a non prendere alla lettera l’insegnamento che è espresso con un linguaggio volutamente esagerato, violento, iperbolico: il pianto e lo stridore di denti sono un esempio di queste espressioni. Quelli che non possono entrare, poi, sono definiti “operatori di iniquità”, con una citazione presa forse dal Sal 8: «Via da me, voi tutti che fate il male». Si tratta cioè dei “nemici della giustizia”, alla lettera, di “chi compie l’ingiustizia”. Adikia è un’espressione nota ad Aristotele, che nell’Etica Nicomachea scriveva: «Mentre la giustizia è la somma di tutte le virtù, l’ingiustizia (a-dikia) è la somma di tutti i vizi».
Ma, soprattutto, come si è visto, il padrone di casa dice di non conoscerli: «non so di dove siete…»: anche se dovesse averli incontrati per strada o, appunto, in qualche banchetto, non hanno messo in pratica la giustizia necessaria per entrare nel Regno. Un monito che vale non solo per i discepoli di Gesù di allora, ma per tutti noi oggi.