Ci avviamo verso la conclusione dell’anno liturgico. È stato un tempo nel quale, di domenica in domenica, siamo stati portati alla contemplazione del mistero di Gesù. Le nostre settimane, i nostri giorni sono stati come lievitati dal fermento della Parola di Dio. Anche in questa domenica, riceviamo questo dono che si innerva nella vita dei nostri giorni.
È la breve parabola della vedova insistente: una situazione tipica, non solo negli usi giuridici dell’Antico Testamento. Anche oggi, non di rado, accade che un prepotente si avvalga di cavilli giuridici per strappare a poveri indifesi quel poco che hanno. Il giudice – riprendendo la parabola evangelica – dovrebbe, con imparzialità e tempestività, difendere quella povera donna. Ma il magistrato si comporta esattamente al rovescio: non teme né Dio né gli uomini: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno” (Lc 18,2). In un certo modo viene rappresentata l’arroganza del potere, che spesso troviamo nella storia degli uomini. Già il profeta Isaia l’aveva denunciata: “Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e per spogliare gli orfani, dice il Signore” (Is 10,1-2).
A questo punto inizia la storia raccontata dalla parabola: cosa farà la povera vedova in questa situazione di palese ingiustizia? Oltre tutto, nel mondo ebraico, donne come lei erano il simbolo della debolezza, oltre che le più esposte al sopruso. Dio stesso si fa loro difensore; viene infatti invocato con il titolo di “difensore delle vedove”, ormai prive della tutela del marito (Sal 67/68,6).
Questa donna, comunque, non si rassegnò all’ingiustizia, come in genere solevano fare tutte. Era certamente una vittima, ma tutt’altro che rassegnata. Con insistenza, infatti, si recava dal giudice pretendendo la giusta soddisfazione. Non lo fece solo una volta, ma più volte; con tenacia non si stancava di pretendere il giusto, finché quel giudice non si decise a prendere in esame il suo caso. “Disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”” (vv. 4-5). Così termina la parabola. Importanti sono le brevi conclusioni poste da Gesù. Inizialmente sembrano alquanto sconcertanti, perché pongono in parallelo il giudice della parabola con Dio stesso.
Si tratta di un paradosso, usato altre volte nei vangeli, per togliere dalla nostra mente ogni dubbio: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente” (vv. 7-8). Sì, Dio non ci farà aspettare a lungo, farà giustizia prontamente (qualcuno traduce “all’improvviso”, “quando meno te lo aspetti”), se con insistenza rivolgiamo a lui la nostra preghiera.
In effetti, i credenti hanno una forza incredibile nella preghiera, un’energia che riesce a cambiare il mondo. Siamo tutti, forse, come quella povera vedova, deboli, senza particolari poteri; eppure questa debolezza, nella preghiera insistente, diviene una forza poderosa; appunto, come per quella vedova che riuscì a intaccare la durezza del giudice.
Purtroppo è facile per noi cadere nella sfiducia e nell’incredulità, lasciarsi travolgere dalle cose di questo mondo, dalle nostre ansie, dalle nostre sicurezze, e dimenticare la preghiera. La prima lettura della Liturgia, tratta dal libro dell’Esodo (17,8-13), è un esempio incredibile della “forza debole” della preghiera. La Scrittura ci presenta la figura di Mosè con le mani alzate verso il cielo, mentre Israele affronta in battaglia Amalek, nella piana di Refidim. Mosè impersona tutto il popolo in preghiera.
Quando lui prega, il popolo di Israele vince, non appena abbassa le mani, subito prevale il nemico. Aronne e Cur intervengono, uno da una parte e l’altro dall’altra, per sorreggergli le mani, fino al momento della vittoria finale. Nella preghiera costante, noi credenti possiamo trovare il fondamento per costruire la nostra vita e per edificare la stessa città degli uomini, certi di quanto afferma il salmo 126/127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (v. l).
Per gentile concessione di mons. Paglia. FONTE
Qui tutti i commenti al Vangelo delle domeniche precedenti di mons. Vincenzo Paglia