Gesù cerca una verifica su quanto il suo messaggio sia stato recepito dai discepoli e, prendendola alla larga, chiede loro che cosa la gente pensi di Lui. Tutti si affrettano a rispondere, chi in un modo chi in un altro, ma a questo punto Gesù affonda con la domanda diretta: Ma voi, chi pensate che io sia? Dal racconto sembra di intuire un momento di silenzio imbarazzato, rotto da Pietro che si fa portavoce di tutti e dichiara lapidariamente il fondamento della nostra fede: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente.
Neanche Gesù stesso, fino a quel momento, si era mai espresso in forma così perentoria! Beato te Pietro, che hai le idee così chiare, avremmo esclamato noi insieme a Gesù. Ma non dimentichiamo mai ciò che Gesù soggiunge e cioè che la nostra fede non è un merito, ma un dono.
E un dono non solo non costituisce alcun merito per il destinatario ma anche, se questi lo accetta, lo obbliga. Quantomeno alla gratitudine e a far di tutto per esserne all’altezza. L’episodio sembra concludersi trionfalmente con l’annuncio da parte di Gesù della sua Chiesa e con l’affidamento a Pietro della sua guida.
Ma Gesù prosegue anticipando ai discepoli l’imminenza della sua passione, della sua morte e della sua resurrezione. E qui Pietro, che ormai possiamo identificare con la Chiesa che Gesù ha appena annunciato affidandone proprio a lui la guida, fa il suo primo scivolone, rifiutandosi di accettare la sofferenza. E le parole di Gesù, da trionfali come erano un attimo prima, si fanno di condanna durissima, come mai sono in nessun’altra delle circostanze riportate dai Vangeli. È un monito che risuona ancora oggi, per i rappresentanti della Chiesa, ma anche per tutti noi che ne facciamo parte.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
I commenti di questo mese sono curati da Ilaria Leonardo