DIO ASCOLTA IL GRIDO DEI POVERI
Il Dio della Bibbia ha una caratteristica, una peculiarità, direi quasi un “pallino”: la predilezione per i poveri. Israele lo ha capito fin dall’origine della sua storia, quando, in Egitto, Dio “ascolta il lamento di Israele” (Es 2,24), “osserva la miseria del suo popolo e ode il suo grido…, conosce le sue sofferenze… e scende per liberarlo” (Es 3,7-8).
Nella Bibbia c’è una vera e propria “teologia del grido (seaqà) del povero”: il lamento dell’oppresso sempre arriva a Dio e da lui viene ascoltato; infatti “la preghiera del povero va agli orecchi di Dio, il giudizio di lui verrà a suo favore” (Sir 21,5).
Dio ascolta il grido degli ultimi della terra: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce” (Sl 34,7.18; 12,6; 102,18). Dio però non solo accoglie sempre il grido di chi è in difficoltà, ma fa anche giustizia all’oppresso, castigando duramente i suoi persecutori (Es 22,21-23; cfr Dt 24,14-15; Ml 3,5; Sl 9; 76,10…). La teologia della vendetta di Dio contro gli oppressori non è un oscuro retaggio veterotestamentario, ma è presente con forza anche nel Nuovo Testamento: “Il salario da voi defraudato ai lavoratori… grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti… Vi siete ingrassati per il giorno della strage” (Gc 5,4-5).
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Dio vindice dei poveri è un concetto troppo spesso dimenticato, però è Parola rivelata: esso sostiene la speranza quando si è nella desolazione (si pensi a quale forza ha dato e dà a tanti poveri questa “Gioiosa Notizia”, ad esempio nelle varie “teologie della liberazione”…); e incute ai credenti un santo timore quando troppo spesso si dimenticano degli altri, non mettono in comune i loro beni, non si preoccupano di un disordine economico mondiale che fa alcuni di loro sempre più ricchi e gli altri sempre più poveri…
IL GIUDIZIO DI GESU’ SULLE RICCHEZZE
Gesù, sul tema delle ricchezze, annuncia uno sconvolgente messaggio che certamente scandalizzò i suoi contemporanei e che non finisce di turbarci tutt’oggi. Anche se i beni terreni sono cosa buona, il loro accaparramento è pesantemente condannato da Gesù, come si afferma nel Vangelo odierno (Lc 12,13-21). Gesù definisce la ricchezza come “disonesta”, “ingiusta”, “ò àdikos mamonàs” (Lc 16,11). La ricchezza è ingiusta perché, dice Gesù, è sempre “ricchezza altrui”, è accumulo di beni che invece vanno condivisi, compartecipati (Lc 16,12). Le ricchezze sono beni di cui diventiamo “amministratori disonesti” (Lc 16,1-15).
Gesù riprende allora i “Guai!” profetici contro i ricchi: “Guai a voi, o ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che siete sazi, perché avrete fame” (Lc 6,24-25). Gesù li considera come esclusi dal Regno per il solo fatto di possedere beni. Sconcertante è la parabola del ricco e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31), in cui Gesù pone all’inferno il ricco solo per l’abbondanza dei suoi beni, e Lazzaro “nel seno di Abramo” solo perché povero in terra, indipendentemente dalle loro disposizioni interiori. Il testo parla di un vero contrappasso: “Abramo rispose (al ricco): «Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti»” (Lc 16,25).
Nel brano cosiddetto “del giovane ricco” (Mc 10,17-27), il Maestro annuncia la grande difficoltà della salvezza dei ricchi. “I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole”: ma Gesù incalza con il famoso esempio del cammello che deve passare per la cruna di un ago (Mc 10,24-25). Ma “essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?»” (Mc 10,26). È il trauma della prima Chiesa, che talora propose varianti testuali più morbide: come quella del versetto 23 che trasformò i “ricchi” in “coloro che confidano nelle ricchezze” (“confidentes in pecuniis”), sostituendo quindi al comando di condividere i propri beni un semplice invito a non esserne troppo interiormente attaccati; o quella che mise, al versetto 25, “gomena” (kàmilos) al posto di “cammello” (kàmelos), per non rendere proprio impossibile l’ingresso dei ricchi in Paradiso.
Dobbiamo accogliere questa Parola di vita, lasciandoci anche noi stupire e provocare da essa, come fecero i discepoli, senza subito rifugiarci nella misericordia di Dio che Gesù annuncia anche in questa situazione: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile a Dio!” (Mc 10,27). Ma “Gesù non vuol dire che, alla fine, Dio aprirà le porte del regno anche a coloro che hanno un cuore da ricchi. Vuol dire che Dio può dare anche ai ricchi un cuore da poveri” (E. Bartolucci).
I POVERI SARANNO I NOSTRI GIUDICI IN PARADISO
L’“esame di ammissione” per entrare in Paradiso verterà su di un’unica domanda: avremo dato da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, accoglienza agli immigrati, vestiti agli ignudi, cure agli ammalati, solidarietà ai carcerati (Mt 25,31-46)?
Non solo Cristo si identifica nei poveri, ma essi saranno i nostri giudici: saranno loro che ci accoglieranno o no nel Regno. Gesù afferma: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché… vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9).
LA POVERTA’, VOCAZIONE PER TUTTI
Ci si potrebbe chiedere se la chiamata alla povertà sia per tutti, o solo per qualche categoria speciale di discepoli. Del brano del “giovane ricco” (Mc 10,17-27) nacquero ben presto tra i cristiani varie interpretazioni: quella rigoristica delle Chiese siriache che poneva l’abbandono dei beni come condizione imprescindibile per essere battezzati; quella ascetico-monastica, che parlava di questa Parola del Signore come di un “consiglio” per i “perfetti”; quella spiritualistica, che vede nel “vendere tutto” l’invito a sbarazzarsi delle passioni; quella personalistica, che legge l’episodio come caso individuale del giovane ricco…
Ma la lettura più ovvia è quella che considera la condivisione con i poveri come irrinunciabile conseguenza dell’amore verso Dio e i fratelli (Lc 10,29-37). Tocca soprattutto a noi laici, che costituiamo la stragrande maggioranza dei discepoli del Signore, riflettere su questa chiamata, troppo a lungo relegata e predicata come esclusiva dei religiosi. Limitando l’obbligo di condividere con i poveri ad alcune vocazioni specifiche, si è mutilata la Parola di Dio, e anzi noi cristiani occidentali siamo diventati i principali responsabili della miseria mondiale e dei perversi meccanismi economici che la determinano.
Ma non basta commuoversi per i poveri. Bisogna sviluppare anche la capacità di cogliere le cause profonde della povertà, di riconoscere le radici strutturali dell’ingiustizia, di un’economia che bada solo al profitto e calpesta le persone. E occorre anche convertire concretamente il nostro stile di vita: condurre una vita più sobria, avere di meno, permettersi meno cose, vivere concretamente secondo canoni diversi dai correnti, che vedono la felicità nel possesso di tanti beni. E in tal senso diventare formatori delle nuove generazioni, e soprattutto dei nostri figli, educandoli alla solidarietà, alla mondialità, all’accoglienza, al servizio, alla frequentazione dei poveri e dei sofferenti.
I POVERI CI EVANGELIZZANO
Se il regno di Dio è dei poveri (Lc 6,20), è alla loro scuola che dobbiamo metterci per potervi accedere: sono essi i nostri maestri per entrare in quella beatitudine che è “loro” (Lc 6,20). I poveri per i cristiani sono il sacramento vivente di Cristo, l’icona oggi della sua Passione e della sua Croce. Sono i poveri che ci fanno incontrare Gesù sulle strade della nostra vita (Mt 25,40).
Carlo Miglietta
Il commento alle letture di domenica 31 luglio 2022 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.