Profezia e persecuzione.
Nei vangeli di questa settimana, un tema ricorrente è sembrato essere quello del profetismo: Gesù non è riconosciuto nemmeno dai suoi apostoli, che gli chiedevano di sedere nel suo regno. Non solo non è riconosciuto, ma anche perseguitato. Ogni testimonianza per Dio ha, come sua logica conclusione, la persecuzione, che per alcuni avviene nell’oscurità della vita e in una sorta di martirio che si consuma attraverso l’incomprensione e il disprezzo, e per altri può compiersi in forma più cruenta, come lo è stato per Giovanni Battista.
Il profeta mette in discussione delle geometrie consolidate, dà fastidio ai potenti, scà rdina vizi che sono ormai stabiliti. I potenti, coloro contro cui gli strali del profeta si rivolgono, sono naturalmente infastiditi da una voce che li richiama al dovere, ai princìpii a cui ogni essere umano dovrebbe attenersi e si rivolgono contro questa voce la cui unica colpa è proprio quella di seguire la volontà di Dio.
La prepotenza in qualunque forma si presenta, sùbdola o manifesta, non può essere un atteggiamento che il cristiano può sostenere, ma devo combatterlo al di fuori di lui e dentro di lui. C’è nel brano di Matteo anche un altro argomento che ci riguarda. L’evangelista ci mostra la logica del peccato: entrato nel vortice Erode, al peccato ne aggiunge un altro, ed un altro ancora, fino all’uccisione del Battista. Se siamo nel peccato, privi della corazza della grazia divina, siamo più soggetti e più deboli nel non soccombere, nel scegliere solo Dio.
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Un proposito per noi: non appena mi accorgo del peccato, cercherò la grazia nel sacramento della confessione, per essere di nuovo, pieno di Spirito santo.
Monaci Benedettini Silvestrini
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