don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 31 Luglio 2022

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Smettere di volere

Bastava raccogliere l’accusa, bastava dare spazio alla vittima, bastava scagliarsi contro l’ingiustizia, bastava accusare il fratello che non accetta di dividere l’eredità. Con una folla attorno quella è occasione da non perdere, si può diventare popolari, mettere in chiaro di essere dalla parte del bene, indirettamente regalare speranza di rivincita. Invece Gesù lascia perdere. Gesù chiede di perdere.

Certo che l’eredità andrebbe divisa equamente, certo che è ingiusta la violenza di chi non vuole condividere, certo che quell’uomo, per quel che sappiamo, è la vittima, eppure Gesù cambia prospettiva. E io sento che è scivoloso questo vangelo. Insidioso.

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Dentro di me emerge il ricordo di un cristianesimo radicato in quella chiesa schierata a favore delle minoranze, io arrivo da lì, dalla passione per gli ultimi (che spesso diventava retorica), dentro di me affiorano i ricordi dell’impegno per un’economia diversa, il mio essere obiettore di coscienza, schierato e convinto. Ricordo i volti delle persone in cui ho creduto a quei tempi, profili che non temevo di definire profetici, gente a cui ho dato piena, troppa, fiducia, ricordo che ci sentivamo tutti dalla parte dei giusti… e non rinnego niente, e le lotte erano sante e lo sono tuttora e forse con una urgenza ancora maggiore, solo qualcosa ha smesso di convincermi. Qualcosa si è rotto, qualcosa non mi convinceva più.

Gesù sposta l’attenzione da un’altra parte… e lo fa con spietatezza: “o uomo, chi mi ha costituito giudice o divisore sopra di voi?”. Eccolo il rischio, ecco la trappola, ecco quello che sono stato e ancora sono: un giudice e un divisore (che è traduzione migliore del “mediatore” che compare nella versione liturgica). Che sia giusto dividere l’eredità, che sia giusto battersi, che sia giusto indignarsi e lottare su questo non ci piove ma quante volte noi, io, ci sentiamo giudici dimenticandoci di essere complici, prima di tutto complici, complici del male! E divisori, magari ci battiamo per i diritti degli ultimi e non ci accorgiamo che il nostro agire non solo è giudicante ma è anche profondamente divisivo con le persone che abbiamo accanto, perché non le ascoltiamo, perché ci imponiamo, perché le umiliamo con ironie spesso feroci e definitive, perché semplicemente le usiamo senza ascoltarle mai davvero.

E allora la domanda vera, quella che mi brucia dentro diventa un’altra: sarei disposto a rinunciare alla mia giusta eredità pur di non diventare accusatore e divisore (cioè demone?) del fratello? Come Abramo che rinuncia alla parte migliore pur di non spezzare vincoli di comunione. Sarei capace io, adesso, di fare la parte del fesso pur di non incrinare relazioni? Sarei capace di perdere la faccia, di perdere la riconoscenza, di perdere tutto pur di non trasformarmi in un uomo arrabbiato e risentito? Sarei capace qui ed ora di rinunciare a me stesso pur di non perdere un fratello?

Non resta che iniziare a fare attenzione e tenersi lontano da ogni cupidigia. Cioè vivere consapevole del male che abita anche me, del mio essere tra coloro che sfruttano, fare attenzione a non usare i poveri e gli ultimi per mostrare la mia apparente innocenza, stare attento alle ingiustizie provocate dalla mia paura di essere dimenticato, fare attenzione alle parole e prima di accusare verificare in cuor mio se io sono così immune dal demone della cupidigia, dal bisogno di avere potere, trattenere persone, possedere l’unica ragione.

Chiedermi ogni giorno da chi dipende la mia vita che… “la sua vita non dipende da ciò che possiede”. Non avere paura di ricordare che dipendo in tutto e per tutto dal respiro, dalla luce, dalla terra, dai gesti d’amore. Dipendo dal Mistero, che a volte riesco perfino a chiamare Dio. E così lasciar andare, ricordare che non sono nulla, che la vita continua anche senza di me, che io sono prezioso solo quando rimando al padre della vita e che per il resto non sono più importante dell’albero che mi regala ogni giorno la sua ombra. Ricordarmi che è ora di smettere di chiedermi “a cosa servo?” perché finalmente posso cominciare a smettere di servire per iniziare a essere. Vorrei arrivare a non possedere altro se non il desiderio di tornare al Padre. Impegnarmi per non lasciare dietro di me nessuna eredità di nessun tipo, fare di tutto per farsi dimenticare, per cancellarsi in Lui. Smettere di falsificare, smettere di usare i poveri, la chiesa, la giustizia, i fatti di cronaca, le liti politiche solo per volermi mostrare migliori degli altri. Non lo sono. Per fortuna.

Non accumulare niente. Non raccogliere niente. Non sono io a dover fare nessun raccolto, io sono colui che deve essere raccolto da terra. Io sono il mezzo morto ai bordi della strada, io l’assassino da perdonare, io il fratello che per paura non riesce a condividere l’eredità. Io solo a sperare che davvero Dio non sia giudice e divisore delle mie miserie.

Non dire mai alla mia anima “hai a disposizione molti beni per molti anni” perché le volte che ho usato dei beni e delle persone ho solo moltiplicato il male. Non voglio avere a disposizione niente e nessuno, voglio starmene alla larga da ogni forma di potere perché mi conosco, in nome di qualche progetto, in nome di qualche mandato, in nome di un bene maggiore io finirei per usare e per essere usato, per demolire magazzini che non reputo all’altezza dei miei sogni.

Non voglio piĂą avere a disposizione niente e nessuno, e non voglio finalmente piĂą disporre di Dio, che io possa invece cominciare a lasciarmi andare in Lui, che smetta di opporre resistenza, che cominci a fidarmi davvero della sua incredibile e sconvolgente fantasia. Smettere di usare e di essere usato, costruire contesti di profonda e concreta inutilitĂ , che poi sono lo spazio dove si radica la libertĂ .

Ma più ancora voglio smettere anche di volere. Rileggo questi fogli in forma di preghiera e mi accorgo che sono ancora troppo presente a me stesso, troppo ingombrante, troppo al centro della scena. Chiudo, mi scuso e mi metto all’ombra del mio albero. Sento che sarebbe bello farmi trovare qui, sorpreso e libero solo come un fiore da cogliere, il giorno in cui “mi sarà richiesta la vita”.

AUTORE: don Alessandro Dehòpagina Facebook

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