don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 24 Luglio 2022

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17a Domenica del Tempo Ordinario

La fiducia nel Padre è grazia che vale più della vita

Un discepolo domanda a Gesù di essere introdotto nel mistero della preghiera. Egli sicuramente legge sul volto del Maestro la gioia della relazione con Dio che la preghiera suscita, e motiva la sua richiesta appellandosi alla medesima esperienza dei seguaci del Battista: se Cristo è più di Giovanni, allora anche la preghiera da Lui insegnata sarà un dono senza eguali, il punto più alto dell’incontro con Dio che l’uomo possa raggiungere! La risposta di Gesù non delude tale attesa e rivela una novità assoluta: la possibilità di rivolgersi a Dio chiamandolo «Padre», con una confidenza filiale che Cristo vive e testimonia per tutta la durata del suo ministero. Se tale appellativo affiora sulle labbra di Gesù circa 180 volte nei vangeli, mentre nell’Antico Testamento è riferito a Yhwh soltanto 15 volte, si capisce come la paternità sia il tratto precipuo di Dio che Cristo è venuto a rivelarci.

La santificazione del nome, il regno, il perdono e la fortezza nella tentazione sono i doni che il Figlio ci suggerisce di chiedere. Essi sono opera del Padre ma anche risposta dei figli, che gli uomini vedono già realizzata sul volto di Gesù. È Lui che ha mostrato la santità del nome di Dio, accogliendo pienamente il suo amore; siamo noi a proclamare con la vita la grandezza del suo nome, esprimendo la carità profonda che nasce da un cuore rinnovato, come aveva preannunciato Ezechiele: «Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti […] Vi darò un cuore nuovo» (36,23.26).

È Gesù che ha annunciato instancabilmente il regno di Dio, presentandolo come una realtà attuale; siamo noi che ci inseriamo nel magnifico compito di edificarlo vivendo di giorno in giorno la specifica vocazione che abbiamo ricevuto. È Gesù che ci ha insegnato il perdono verso tutti e in ogni circostanza; siamo noi che dobbiamo chiederlo per noi stessi ed esercitarlo verso gli altri, affinché il dono ricevuto non marcisca interiormente, ma si moltiplichi fuori di noi. È Gesù che nel deserto della tentazione si è sentito sostenuto dalla Parola del Padre; siamo noi che dobbiamo farci guidare nella prova solo dalla forza della sua Parola.

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Infatti, cosa fai quando non sai che strada prendere, quando ciascuna delle opzioni che hai davanti sembra equivalersi e temi che le tue sensazioni possano essere ingannevoli? Quando la mente non vede con chiarezza il bene da fare e il cuore prova sentimenti contrastanti, soltanto il confronto con la Parola può indicarti la strada della verità. Se a volte la risposta alle situazioni è istintiva, come nella parabola dell’amico importuno che Gesù subito dopo racconta, in cui è lo sfinimento per l’insistenza dell’amico ad indurre ad aprire, più spesso ci si muove nel labirinto del dubbio: è lì che bisogna bussare con perseveranza al cuore del Padre perché mostri la sua volontà.

Ricordo il dramma di una donna fortemente tentata di lasciare il marito per un uomo sposato; il cuore era incapace di riconoscere il bene; l’unica cosa da fare era non fidarsi dei sentimenti del proprio cuore e consegnarsi all’evidenza del bene: se era amara la sensazione di andare contro se stessi, diventava un puro atto di fede chiedere insistentemente al Signore che quella rinuncia portasse col tempo la vera pace interiore.

Va interpretato in tale prospettiva il detto sulla preghiera insistente: chiedere, cercare e bussare non per ottenere ciò che riteniamo importante per noi, ma perché si compia il progetto di Dio sulla nostra vita. Siamo al cuore della fede, che induce l’uomo a fidarsi del Padre al punto da mettere da parte le proprie prerogative e attendere soltanto il compimento della promessa del Signore.

Gesù motiva tale fiducia richiamandosi all’immagine del nutrimento, la prima e fondamentale relazione genitore-figlio che dà sostentamento e sicurezza al piccolo. Se il padre terreno ti dà vita anche se non l’hai chiesta, anche se non la meriti, il Padre celeste «darà lo Spirito Santo», darà cioè la percezione di essere amati e una rinnovata capacità d’amare. Come rinunciare a un Padre così? Eppure accade, come quei figli che, sentendosi defraudati di qualcosa rispetto ai fratelli, chiudono i rapporti col padre.

«Siete cattivi, sapete dare cose buone»: il nativo egoismo non impedirà allo Spirito di risvegliare in noi la nostalgia del Padre e di renderci elargitori dei suoi doni, superando ogni contesa col fratello. Forse sarà proprio il riscoprirsi madre che dà la vita ad indurre quella sposa ad accettare la morte di un sentimento che non viene da Dio perché divide invece di generare bene per tutti.

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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