Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. Ciò vedendo, i farisei gli dissero: “Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato”.
La pericolosa politica del formalismo la si può combattere tranquillamente con un formalismo più petulante. Ma questo gioco al massacro fa vincere solo chi usa di più la retorica. E Gesù usando le stesse armi dei farisei li mette al muro. Ma la verità è un’altra e Gesù la dice alla fine del Vangelo di oggi: “Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato”.
Ciò che vince il formalismo non è la retorica ma la misericordia. Se le regole diventano più importanti delle persone allora quelle regole non danno più gloria a Dio. Se il sabato è più importante della sofferenza di una persona allora quel sabato non è più sacro ma abominevole. Una religione che diventa disumana non è più una religione ma un’ideologia.
C’è un primato del cuore che non bisogna mai dimenticare. E quando parlo di primato del cuore non sto parlando del primato dei sentimenti, ma del primato di quella parte di noi dove la verità la si incontra e la si propone senza deturpare il volto del fratello. Se scendessimo più nel cuore che nella sola testa o nella sola pancia, ci accorgeremmo di come in nome di Dio giustifichiamo una serie di bestialità che con lui non hanno nulla a che fare.
Il moralismo e il sentimentalismo sono due opposti che si assomigliano. Non il dito puntato, né il “volemose bene” danno culto a Dio, ma la misericordia. E la misericordia è la capacità di saper mettere il proprio cuore nella miseria delle persone. Saper amare nella miseria di un errore, di una caduta, di una fragilità. Amare per rialzare, per guarire, per riscattare. Amare per rendere possibile anche una relazione con Dio autentica.