don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 28 Giugno 2022

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ADDORMENTARSI NELLA TEMPESTA CON GESU’ PER PASSARE INDENNI NELLE TEMPESTE DELLA VITA

Abbiamo paura perché, senza fede, dimentichiamo che è stato Gesù ad ordinarci di passare all’altra riva. Perché la vita nasce dall’obbedienza alla sua parola creatrice, si compie entrando nel mare degli eventi tempestosi addormentati con Lui tra le braccia materne della Chiesa. Essa è la barca dove, nutriti sala fede e dalla misericordia con la Parola e i sacramenti, sperimentiamo la bonaccia della sua resurrezione. La vita è una Pasqua, una serie di rinascite nel perdono che ci liberano dal peccato e quindi dalla paura di morire, per spingerci nella storia amando, sino ad “addormentarci per amore”. A dimenticare cioè noi stessi perché il prossimo possa conoscere lo stesso amore di Cristo che ha salvato noi.

La vita è una traversata per “passare all’altra riva”, immagine del Cielo, solcando il mare che, spesso, nella Scrittura, è immagine della morte. La vita è, dunque, una Pasqua! Solo nella sua luce acquista senso e pienezza. E  proprio le “tempeste” definiscono la vita della Chiesa, della quale la “barca” è immagine. “tempesta” traduce l’originale greco che, letteralmente, significa “grande sisma”, usato anche nei racconti della crocifissione per il “terremoto” scoppiato alla morte di Gesù. Quella “barca” in mezzo ai marosi è dunque profezia della Croce di Cristo piantata sul Golgota e scossa dal terremoto. Sulla “barca” e sulla Croce le onde e le scosse sismiche sono il segno dello sconvolgimento innescato dal “sonno” di Gesù. Il suo “dormire”, infatti, “sveglia” colui che, sino ad allora, aveva riposato tranquillo, sazio di anime. Al sopraggiungere del Signore il demonio si sente scoperto e vulnerabile.

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Per questo, quella “barca” non doveva arrivare in quel porto; Gadara, infatti, era in piena Decapoli, terra pagana, territorio del nemico. Gli abitanti vi si dedicavano al commercio dei maiali e all’usura. Impuri tra i più impuri, schiavi di satana che Gesù andava ad attaccare. Egli sapeva che Gesù “era venuto prima del tempo a tormentarlo”, prima cioè che potesse preparare una controffensiva. Doveva difendersi e impedire a Gesù di compiere la sua missione. Quella “tempesta”, dunque, non era come le altre; quel “vento” e quelle “onde” erano i rantoli di gelosia e ira del demonio e di chi ne è ingannato, che vorrebbe far annegare Gesù nella morte. Così è di ogni tempesta che infuria sulla “barca” di Gesù e Pietro, repentina come quelle che scoppiano sul mare di Galilea, e tanto “violenta che la barca si ricopre di onde”. 

All’inizio è una brezza soave, ma poi rapidamente si fa vento gagliardo e le onde si alzano come bastioni insormontabili; infine, ecco le secchiate d’acqua, che una mano invisibile sembra rovesciare dentro la “barca”. Così si insinua il demonio. E non basta averne l’esperienza; come Pietro, pur esperto del lago di Tiberiade, non poteva nulla contro l’infuriare della tempesta, neanche noi, pur essendo caduti tante volte nelle lusinghe e trappole del demonio da saperle riconoscere, abbiamo la capacità per resistere quando ci attacca con furia improvvisa. D’altronde, nessuna “tempesta” nella vita di un cristiano è davvero improvvisa: quella “barca” le attira, e proprio per questo Gesù continua a “dormire”. La tempesta non lo sorprende; non si sveglia neanche quando la “barca” si riempie d’acqua. Lui aspettava quella tempesta, si era imbarcato per entrarci dentro; era un segno della sua incarnazione e una profezia del suo Mistero Pasquale. Soprattutto, sapeva che l’unico modo per passarci indenni era dormire; sapeva che il demonio vi si nascondeva, come in tutti gli avvenimenti della sua vita, e l‘unico modo per compiere la sua missione sarebbe stato “reclinare il capo” sulla Croce per addormentarsi nella morte.

Gesù “dormiva” perché sapeva che per raggiungere Gadara – il mondo pagano dove eri, e sei, tu, dove è tua figlia e il tuo collega, tua nipote e il tuo vicino di banco – per raggiungere ogni uomo e liberarlo dal potere del demonio, doveva lasciare che le onde lo ricoprissero sino a togliergli la vita! Solo allora avrebbe potuto scovare il demonio a casa sua, nel suo quartier generale, e farlo saltare una volta per tutte, e così sterminare la “legione” con i suoi ufficiali e generali, rendendo impotente con la sua morte chi della morte aveva il potere, ovvero satana. Le parole che Egli usa per placare il mare sono, infatti, le stesse usate dagli evangelisti nei racconti degli esorcismi. Le stesse che, nella versione greca della Settanta, presentano il gesto di Yahvè che con l’onnipotenza della sua parola prosciuga le acque del Mar Rosso. Questa era la missione di Gesù, la stessa di Pietro e della Chiesa: “sciogliere” sulla terra quello che Lui ha sciolto per sempre. Gesù rivolge agli apostoli una domanda che potrebbe suonare beffarda: “perché avete paura?”.

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Ma come, stiamo per affondare e tu ci chiedi perché abbiamo paura? Essi, come noi, erano “uomini di poca fede”, non avevano compreso nulla di quello che stava accadendo. Perché la “fede” è entrare con Cristo nella tempesta e mettersi a dormire! E’, concretamente, addormentarsi con Lui nella morte che ci attende ogni giorno, lasciando che le “onde ci ricoprano”, perché – ed è il cuore del cristianesimo che batte nel Mistero Pasquale di Gesù – per “passare all’altra riva” occorre entrare nella tempesta. Per avere la vita in abbondanza bisogna perderla; per vivere bisogna morire. Non a caso “passare” in ebraico si dice HBR, da cui deriva “ebreo”; essi sono i fratelli maggiori, sul cui “passare” dall’Egitto alla Terra Promessa siamo stati innestati: “Dietro Gesù … l’evangelista … desidera che risuoni nelle orecchie dei discepoli il nome di “ebreo”. Desidera che i suoi ascoltatori abbiano l’intelligenza dell’indispensabile coesione della loro vita. Essi debbono attraversare fisicamente, concretamente, il mareAllora l’evangelista forma in greco un verbo nuovo, “diegeiro”, per dire svegliare. Impossibile da tradurre letteralmente, questo verbo ha l’accento ebraico di “passare”. Dunque, i discepoli che sono nella barca di Gesù lo svegliano… Lo chiamano…. E quando si sarà “svegliato sarà passato di là”, e tutte le cose si saranno placate, quando ci sarà la calma, l’evento non finirà lì.

La “traversata” continuerà con la domanda di Gesù, alla maniera della Torah… ”Dove sei?”. Gesù dirà: “Uomini di poca fede, perché avete paura?”, Come dire: “Ebrei, dove siete? Avete dimenticato di sentire il vostro nome? Avete dimenticato il vostro nome, la vostra vita?” (M. Vidal). La stessa domanda, oggi, prorompe nella nostra vita: “Perché avete paura?”, “non avete ancora fede”? Di fronte alle “tempeste” che si abbattono su di noi siamo terrorizzati perché siamo senza discernimento; abbiamo perduto la memoria del nostro “nome” e della nostra origine. Come gli apostoli, sopraffatti dalle onde che scuotono la carne facendole lambire la morte, abbiamo dimenticato Chi ci ha “ordinato” di “passare all’altra riva”. Il primo attacco del demonio, subdolo e astuto, ci ha centrati in pieno: maestro del rimestare nei ricordi per scombinarli al punto di far perdere il filo di Grazia che li lega, ci ha sottratto il ricordo della nostra chiamata. La nostra vita ha origine, senso e compimento nelle parole con le quali Gesù ci ha chiamato a “passare” con Lui “all’altra riva”. Non lo abbiamo scelto noi, probabilmente neanche lo desideravamo. 

Noi siamo “nel mondo” proprio perché non siamo “del” mondo! L’attitudine degli apostoli nostra emersa nella “barca” è ben descritta da Peguy, amaro e crudo come sempre: Poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non sono dell’uomo credono di essere di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio”. Non amiamo nessuno, per questo abbiamo paura. Come gli apostoli, forse non siamo ancora pronti a morire con Lui. Anche gli apostoli, pur chiamati, avevano bisogno della “fede” per compiere la loro missione! Erano, secondo il greco originale, “oligopistoi”: avevano solo un po’ di fede, nel senso che era ancora acerba, doveva crescere… Come noi, erano incapaci di riconoscerlo nella tempesta. Senza fede non capiamo che proprio perché “dorme” ci ama come nessuno. “Dorme” e non ferma le guerre. “Dorme” e non guarisce il cancro di mio padre. “Dorme” e non cambia il carattere di mio marito. “Dorme” e non dà un lavoro a mio figlio. “Dorme” perché non mi ama… “Uomo di poca fede”, non hai capito nulla! Gesù “amava Lazzaro”, eppure si è fermato ancora due giorni dove si trovava senza scendere da lui ammalato, quasi aspettando che l’amico morisse. E quando infatti Lazzaro si “addormenta” Gesù dice ai suoi discepoli di essere felice per loro di non essere stato dall’amico, “affinché possano credere”. 

E proprio per crescere nella fede e “poter credere” stiamo “nella barca” come nell’utero della Chiesa, e questo è l’importante. Dio è fedele, e ha misericordia di noi, ha pazienza, sa che un giorno, daremo la vita per Cristo e la salvezza degli uomini; come gli apostoli che, rimanendo le stesse identiche persone, una volta pieni di Spirito Santo, invece di impaurirsi, si sono “addormentati” nel martirio! Gesù ci vede nella “barca” con Lui pieni di pura, ma guarda oltre, alle persone alle quali saremo inviati; ci vede tra qualche anno, in quella situazione nella quale daremo testimonianza al vangelo, anche a costo della vita. Per questo oggi Gesù si “desterà” ancora una volta a “sgridare i venti e i mari” perché torni la “bonaccia” nella nostra vita. Alla paura che ci fa sentire “perduti” di fronte alla Croce ascolterà ancora e sempre la nostra preghiera, e calmerà le tempeste: nella Chiesa, durante la gestazione dell’uomo nuovo, ci darà ancora segni della sua risurrezione su cui appoggiare la nostra “fede” che deve crescere, per divenire adulta e farci discernere nella tempesta il risveglio di satana nel campo della missione.