Vivere senza garanzie
Il prima: Gesù che guarisce /salva facendosi carico e portando.
La scena: Gesù che dialoga mentre si distanzia dalla folla.
Il dopo: Gesù sale sulla barca ed i discepoli, obbedienti, lo seguono, ritrovandosi in una tempesta. Presenza di Gesù strana e problematica (il sonno: quanto più vicino al non esserci!) ma, in ultima istanza salvifica.
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Uno scriba lo chiama “maestro”: ha un insegnamento significativo da offrire. Un Discepolo lo chiama Signore: è in grado di salvarlo, ma… Non interessa l’esito dei dialoghi, ma solo le parole di Gesù sul discepolato, sul seguirlo, e cosa significa confessarlo “Maestro” o “Signore”.
Lungo tutto il Vangelo di Matteo si mostra l’inconsistenza e l’insufficienza di una relazione costruita sulla comprensione di Gesù come “Maestro”: quelli che lo chiamano così sono avversari o comunque non costruiscono mai un rapporto significativo, i discepoli lo chiamano subito “Signore”. Il compimento dell’itinerario avviene in Mt 26,22-25; dove, nella problematica situazione di tutti i discepoli, il traditore si autoidentifica per il titolo con cui si rivolge a Gesù.
Lo scriba si mostra disponibile ad una sequela itinerante, con la conseguente fatica e povertà, ma Gesù parla subito del suo non avere casa, dunque neppure un ambiente di studio e un luogo di incontro, per quanto povero e precario, da offrire ai discepoli. Prospetta non il “dovunque” ma la possibilità del “niente”, con la mediazione di Sir 36,24; e forse c’è anche un riferimento alla problematicità del celibato.
Il discepolo, che confessa la signoria di Gesù chiedendo un permesso (dato probabilmente per scontato trattandosi di rispondere ad un dovere), viene messo davanti al superamento del diritto/dovere umano e delle norme della religione, non in base ad altre norme migliori o più grandi, ma alla relazione con Gesù stesso.
Dunque è la sequela come Gesù la prospetta, non come dovrebbe essere secondo me, secondo il buon senso, secondo le regole. Sequela problematica, particolare, urgente, impopolare, il cui scopo non è la radicalità, ma, al di là di ogni aspettativa, non essere più tra i morti: seguire ed essere salvati.
Chiamata di Gesù che va al di là delle pur importanti buone intenzioni. Posso illudermi di aver deciso di seguire, posso solo chiedere di essere salvato.
Gesù parla di sé come Figlio dell’uomo per la prima volta in Matteo, con possibili sensi diversi: uomo qualunque, uno dei tanti; uomo che rappresenta tutti, mostra la situazione umana; uomo celeste ed escatologico, incaricato di essere il realizzatore finale del piano di Dio.
Ma qui forse c’è la semplice presentazione di uno stile di vita umana, con le conseguenze per chi lo vuole condividere.
Non avere una casa, non preoccuparsi di un sepolcro: neppure ciò che è stato concesso ad Abramo, il pur itinerante padre dei credenti. Un luogo per il corpo vivo, un luogo per il corpo morto: gli estremi che inquadrano la vita del singolo e della comunità e rispondono alle sue esigenze essenziali.
Una sequela senza condizioni, applicandola al nostro modo di pensare, neppure con la garanzia di vivere i diritti fondamentali della persona.
fratel Daniele
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