don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 26 Giugno 2022

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Ed egli il volto indurì

Ed egli il volto indurì per andare a Gerusalemme…

non è solo una “ferma decisione” come riportato dalla traduzione italiana del vangelo di oggi, letteralmente è la vita affrontata a muso duro, è la profetica capacità di irrigidire i lineamenti, è la faccia che diventa prua di nave rompighiaccio, è la profezia del rifiuto che prende casa tra gli occhi, sono labbra che si morderanno a sangue pur di non tradire la scelta, è la fronte a farsi muro, pietre incastrate ad arginare lo sconforto dell’abbandono.

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Non è solo una ferma decisione la tua, Cristo tu sei la pietrificazione di un sogno, corazza d’insetto a difendere l’ultima speranza del genere umano, sei la madre che preserva i cuccioli, sei l’ostinazione, sei la violenza dell’amore. E io che non ne posso più della retorica di certa tenerezza a te mi affido, sei come animale a difesa dei suoi cuccioli, sei la promessa che non saremo strappati da te, sei la mia unica speranza.

Non è solo “ferma decisione” la tua, tu sei un volto indurito che decide di non retrocedere, sei la resistenza a sputi, schiaffi, chiodi e perfino ai baci. Il mio essere samaritano impaurito non ti spaventa, la tua durezza resiste alla mia negazione, mi attraversi sempre e speri che io un giorno possa arrivare a capire. Solo non sopporti i discepoli, non sopporti quando anche io sono religiosa milizia armata pronta a imporre durezza solo alle morali altrui. Tu non sopporti il volto indurito delle maschere ipocrite. Si può essere duri solo con se stessi e solo per amore, questo non ti stanchi di ripetere. Non si invoca un fuoco dal cielo, se si riesce fuoco si diventa, e ci si consuma fino all’ultimo respiro ma solo per un amore ossessivo e mortale.

Non è solo “ferma decisione” la tua, io mi sono nutrito di decisioni che credevo incrollabili, io ho promesso, io ho giurato, io ho creduto che bastasse un sacramento che sancisse la mia volontà di seguirti ovunque. Invece mi ha seguito tu, solo tu, perfino nei miei naufragi. Mi ha stanato con caparbietà ossessiva, colpevole solo d’essere pari a quella delle madri. Tu mi anticipavi nelle tane che costruivo, tu le usurpavi, tu hai sconsacrato ogni nido intrecciato solo per fuggire dal tuo sguardo. Mentre io mi ostinavo a voler credere all’innocuo dio gentile ed educato delle suore, al dio della debolezza, al dio che morbido si adegua alle mie scelte tu mi stanavi, tu eri orda barbarica di una forza che non sapevo ancora definire d’amore.

Non è solo “ferma decisione” la tua, tua è la chiamata gridata mentre mio padre muore, tua è la scelta durissima di manifestarti tra i lineamenti duri di un padre quasi cadavere, tuo il volto indurito dal male, tua è la durezza della solitudine, tu solo e sempre tu, a non permettermi di seppellirti con la delusione di non essere stato esaudito nelle mie preghiere. Tu a liberarmi con un morso al cuore dall’infantilismo di chi cerca in tutti i modi di rimanere figlio in eterno. Altro che tenerezza, tu a seppellirti con mio padre e io, solo, a non poter ancora fare a meno di te.

Adesso ho questo aratro tra le mani e dietro di me lascio solchi che tagliano la crosta terrestre, ferisce anche il mio di passaggio su questa terra, io che ti avevo scelto convinto di non far piĂą del male a nessuno, per dilatare una pacificazione che ho scoperto solo dopo qui sarebbe solo blasfema pantomima del paradiso.

Duro come lama di questo aratro è il volto tuo, e mi scavi, mi apri, mi dilani l’anima, sei sconcertante nella tua ossessione per me. E io non posso farne a meno ormai. A volte vorrei voltarmi e tornare ad un’immagine più leggera, a quel dio amico e promettente che rendeva sensata la mia vita, che mi dava un posto nel mondo, che tramutava ogni mia azione in gratitudine di amici e parrocchiani. Non rinnego niente, è stato bello ed è stato giusto così, e oggi non sono certo più triste di allora (sento già la preoccupazione di chi non riesce a capire, di chi crede che io ora sia deluso o sconsolato, sento già la preoccupazione di chi non capisce che lasciarsi trafiggere d’amore, che riuscire finalmente a nascondersi tra le trincee dei solchi del tuo viso è ciò che rende degna di essere vissuta la vita).

Io sto nella tua ombra, ci sto nella felicità e nello smarrimento, ci sto nel peccato e nella santità, ci sto qui e ora, così come sono, e sto al sicuro. Non ha senso guardare a ciò che è stato, ora c’è solo da non volgersi indietro e continuare ad arare, e indurire anche il mio di volto, per quel che posso, per quel che riesco, fino a quando riconoscerò il mio Calvario e pianteremo insieme l’aratro a forma di croce e sprofonderò anche io sperando di essere elevato dalla tua misericordia.

AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica