don Giovanni Berti (don Gioba) – Commento al Vangelo del 29 Maggio 2022

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In cielo con i piedi per terra

Quando si visitano i resti archeologici delle città antiche, si nota che dei templi costruiti per le divinità, quello che rimane è spesso solamente l’alto basamento sul quale erano costruiti. Del tempio di questa o quella divinità talvolta rimangono pochi resti del colonnato o della cella sacra, ma quasi mai la statua che la raffigurava. Per i luoghi di venerazione del dio l’alto basamento era fondamentale per ricordare il distacco tra il mondo della divinità e il mondo degli uomini, la separazione incolmabile tra cielo e terra. Noi stessi quando pensiamo a Dio pensiamo al cielo, guardiamo in alto e mentre lo facciamo ci sentiamo piccoli e sentiamo Dio distante. Anche i nostri cari defunti, che diciamo “sono andati in cielo”, li sentiamo per questo sempre più distanti e irraggiungibili.

Nel racconto evangelico, ha uno spazio importante questo avvenimento nel quale Gesù, dopo essere apparso risorto ai suoi amici, “viene portato su, in cielo”. L’evangelista Luca ce lo racconta ben due volte, alla fine del suo vangelo e agli inizi del racconto degli atti degli apostoli. Gesù che “sale in cielo, avvolto dalla nube” segna un passaggio fondamentale tra la storia di Gesù e la storia dei suoi discepoli, che in fondo è la nostra storia di Chiesa oggi.

Sembra davvero che con questa salita Gesù risorto faccia la stessa fine delle divinità di tutti i tempi, cioè in alto, distaccato e irraggiungibile. Stare in alto e lontani, non sfiorati dalla normalità e pesantezza della vita di tutti, sembra il destino di Gesù come di tutti gli dei. All’uomo, a noi, a me, non rimane che guardare da lontano e “sperare” di salire in qualche modo, guadagnandomi questo privilegio.

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Anche nella logica umana non religiosa il “salire in alto e rimanervi” è un obiettivo di vita molto ricercato. Si cerca di stare in alto dal punto di vista economico e di potere, e si vuole anche mostrare agli altri in tutti i modi questa “salita”. Se le divinità antiche avevano i loro templi e le loro statue su altissimi basamenti, oggi i piedistalli sono altri, come per esempio la visibilità nella comunicazione sociale, o le ricchezze materiali ostentate come piedistallo per apparire in alto.

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Ma davvero Gesù è come tutte le altre divinità? Anche lui è come noi, quando cerchiamo di essere gli uni sopra gli altri?
A scuoterci da questa considerazione falsa e fuorviante sono proprio le due figure in bianche vesti che nel racconto degli atti degli apostoli dicono ai discepoli, rimasti a fissare il cielo: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Ci fa capire il vero senso dell’ascensione di Gesù la gioia che caratterizza i discepoli quando vedono Gesù in cielo, “…ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia”.

Raccontando che Gesù “sale” in cielo, il Vangelo non vuole dire che Gesù si è allontanato e staccato dalla realtà umana dei suoi discepoli e degli uomini, ma che è “entrato definitivamente” nella realtà di Dio che rimane per sempre e definitivamente dentro la realtà umana. I discepoli pian piano capiranno che il loro amico e maestro non è perso e non è diventato nemmeno lontano e irraggiungibile, ma proprio perché entrato nella dimensione di Dio (che noi raffiguriamo con il cielo… ma non è questione di altezze materiali e distanti) ora è davvero presente in tutti e in tutta la storia.

Gesù non è in cielo nel senso di distante, ma con la sua morte e resurrezione ora ha fatto si che “il cielo”, cioè Dio, sia dentro la piccolezza e bassezza della nostra vita umana. Grazie al Risorto, Dio non è più irraggiungibile, perché Gesù mostra nella sua umanità, quella che ricordiamo nel Vangelo, che la via di Dio è quella dell’uomo, che dove si ama il cielo è aperto e raggiungibile. Di questo, come dice Gesù ai suoi discepoli, noi siamo testimoni! Se guardiamo al cielo e pensiamo a Dio come lontano con tristezza forse non abbiamo ancora ben compreso il Vangelo. Se pensiamo che la nostra vita è felice solo se saliamo di grado, di economia e potere, significa che non abbiamo capito il Vangelo.

Importante è l’ultima promessa di Gesù ai suoi amici, ed è quella del dono dello Spirito Santo. Dio stesso, con il dono del suo Spirito, ci aiuta nel cuore e nella mente a capire e vivere la stessa vita di Gesù, così da poter sperimentare con gioia che possiamo essere anche noi in cielo anche con i piedi per terra.

Giovanni don


Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)