Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 29 Maggio 2022

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ASCENSIONE DEL SIGNORE

(Sostituisce la DOMENICA «DELLA PREGHIERA SACERDOTALE»)

VII del Tempo di Pasqua C

Lc 24,46-53 (leggere 24,44-53); At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10,19-23

L’Ascensione non è un episodio che si possa descrivere isolatamente, ma una delle sfaccettature di quell’unico gioiello  che è il mistero pasquale. Tra Pasqua e Pentecoste è la festa dell’intervallo di tempo in cui Gesù risorto scompare agli occhi dei suoi, iniziando con loro un altro tipo di rapporto, talmente efficace che tutto sarà colmato della sua presenza. È un  momento di passaggio, in cui i discepoli sono chiamati ad abbandonare la sponda familiare dei modi di presenza di prima, per la terra ancora sconosciuta in cui saranno invasi dallo Spirito del risorto. Il nuovo Elia viene tolto loro (Luca), ma l’Emmanuele rimane presente alla sua chiesa (Matteo), innalzato da Dio alla sua dignità regale (Marco).

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Dopo la sua ultima apparizione, il Signore Gesù lascia apparentemente i suoi, ma la sua presenza invisibile si intensifica, raggiungendo una profondità e un’estensione che non era possibile quando egli si trovava ancora nel suo corpo terreno. Grazie allo Spirito, Gesù sarà sempre presente là dove ha insegnato agli apostoli a riconoscerlo: nella parola, nei sacramenti, nei fratelli, e soprattutto nella missione. Non si tratta dunque di contemplare il cielo, ma di essere i testimoni del risorto sulla terra degli uomini, di collaborare con lui alla crescita del suo regno.

Mistero divino e soprannaturale, l’ascensione esprime anche il senso profondo di ogni separazione umana.

«Veramente grande ed ineffabile fu il motivo di gioia, quando la natura, appartenente al genere umano, ascese a un’onorificenza superiore a quella di tutte le creature celesti (…) fino ad essere accolta nel consesso dell’eterno Padre, che l’associava alla sua gloria, dopo averla unita, nel Figlio, alla sua stessa natura. L’ascensione del Cristo è quindi la nostra elevazione; quanto più alta è la gloria del capo, tanto più può innalzarsi la speranza del corpo: lasciamo dunque prorompere la nostra gioia» (S. Leone Magno, Primo discorso sull’ascensione del Signore).

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«Sulla terra il cuore non si corrompe, se lo si innalza verso Dio. Se tu avessi del grano in cantina, lo porteresti nel granaio, per evitare che marcisca. Se dunque sposteresti il tuo grano, collocandolo al piano superiore, a maggior ragione devi preoccuparti del tuo cuore, elevandolo verso il cielo. In che modo? Attraverso atti d’amore. Il corpo sale cambiando di posto; il cuore si eleva cambiando di volontà» (S. Agostino, In Ps. 58).

Per antica tradizione (sin dal IV e V secolo), la solennità dell’Ascensione era celebrata il giovedì della VI settimana di Pasqua ed è solo dal 1977 che nella nostra nazione si celebra la VII Dom. di Pasqua. Perciò anche da noi si è spostata la Solennità del 40° giorno. L’Ascensione, dal suo legittimo giovedì alla Domenica seguente solo perché seguente. Col solito “motivo pastorale” (sempre quello, come il vecchio “motivo di famiglia” che ha accompagnato le nostre assenze scolastiche) in pratica si è disatteso il simbolismo biblico del numero 40 in rapporto al numero 50 della Pentecoste e delle 7 Domeniche che portano alla medesima Pentecoste, ma alla beffa il danno, si è abolita un’altra Domenica. Ma si sa, la Domenica per la Chiesa Cattolica è un giorno di riserva per impiantarvi ogni ideologia nuova e non vale richiamare la Tradizione antica comune intangibile. La “pastorale” è il fatto preminente nella Chiesa mentre la “Teologia” è ridotta ad aspetto secondario, un giocattolo riservato agli studiosi.

«La Tradizione antica faceva tesoro della teologia in vista della pastorale. Essa aveva già risolto il problema dell’Ascensione (e altri problemi), in modo adeguato. Si trattava di un’impostazione di calendario, dove non si usano «pensate pastorali», ma si mette in opera il senso profondo della contemplazione del Mistero del Signore, della teologia in funzione della pastorale del popolo santo. Nei primordi festali, la Chiesa antica festeggiava l’Ascensione del Signore Risorto nel giorno stesso della Pentecoste dello Spirito Santo quale unico Evento trinitario, assumendo e valorizzando il simbolismo giubilare del 7 x 7 + 1 = 50, e con il giusto richiamo al Giorno della Resurrezione. Solo più tardi si ebbero le due date festali dell’Ascensione al 40° giorno, simbolismo dell’attesa, e della Pentecoste al 50°, simbolismo della pienezza.

LAscensione, ammesso (ma non concesso) che si dovesse spostare per preservare una festa del Signore (ma feste del tutto minori come il 1° novembre e l’8 dicembre sono parse intangibili!), mai avrebbe dovuto abolire una Domenica del Signore, ma poteva essere di nuovo allineata, come all’inizio era pacifico, alla Domenica di Pentecoste. Poiché la legge suprema del calendario della Chiesa, che deve obbedire alla regola apostolica della Domenica come vera Festa del Signore, e unica Festa del Signore (1 Cor 16,2; At 20,6; Ap 1,10), era comunque salvare la Domenica, il Giorno plenario della celebrazione di Cristo Risorto con lo Spirito Santo nel suo Mistero. E questo indicibile Mistero non può essere parcellizzato da nessun’altra celebrazione, la quale è sempre inferiore e deve cedere comunque alla Domenica.

In più, abolita la Domenica VII di Pasqua in quelle nazioni, non si è pensato che si provocava un danno ai fedeli, danno “pastorale” ingente perché “teologico”. Di fatto la «Preghiera sacerdotale» del Signore (Gv 17) non si proclama più al popolo di Dio, che non ascolterà più quel testo, non saprà più che il suo Signore prega per sé, per gli Apostoli, per tutto il popolo dei suoi fedeli durante la Madre di tutte le Cene, come del resto Egli seguita a operare in tutte le Cene figlie. E in gioco la contemplazione del Mistero, che esattamente dalla “teologia” scorre in modo benefico sulla “pastorale” della celebrazione.

Se il Concilio Vaticano II ha caldamente esortato ad «aprire in modo più ricco i Tesori biblici» al popolo di Dio (SC 51), qui una parte illuminante di quel Tesoro insostituibile è sottratta alla Chiesa Orante, il Soggetto principale». (T. Federici, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A, B, C, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001, pp. 495-496).

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso At 1,11

«Uomini di Galilea,

perché fissate nel cielo lo sguardo?

Come l’avete visto salire al cielo,

così il Signore ritornerà». Alleluia.

L’Antifona d’ingresso con AT 1,11 è l’icona dell’Ascensione, che rappresenta il Risorto sollevato dalla Nube dello Spirito Santo e portato sullo scudo della vittoria da due angeli, ma è anche la medesima icona della Venuta ultima. Contemplare lui asceso, significa attenderlo che venga. È la contemplazione della Chiesa, semplicemente, fino alla Venuta.

Questo mistero, lo abbiamo detto molte volte, è celebrato dalla liturgia in un’intima connessione con la Pasqua, sotto un duplice aspetto:

  1. in quanto glorificazione di Cristo;
  2. in quanto inizio della glorificazione della Chiesa, corpo di Cristo-

La glorificazione di Cristo vuol dire che è salito al cielo colui che discese dal cielo (cf Gv 3,13; 6,62). Il mistero dell’Ascensione risulta così già compreso in quello dell’incarnazione. Occorre che Dio stesso venga nello spazio dell’uomo, entri nella sua storia, perché l’uomo possa giungere a Dio. Per giungere agli uomini Dio manda il suo Spirito (Is 32,15) o la sua Parola (Is 55,10 s), ma essi non possono arrivare al cielo (Pr 30,4; Baruc 3,29). Il cielo per Israele, è l’ambiente della santità di Dio, la sua dimora, la dimensione sua propria, come la terra è quella degli uomini (cf Sal 115,16). Il solo desiderio umano è una presunzione destinata a fallire: cf Gen 11,4 ss; Gb 20,5-7; Ger 51,53 La salvezza viene solo da Dio, è nell’intimità con lui che vi è il superamento della distanza tra le due dimensioni cielo-terra (vedi ad esempio Enoch in Gen 5,24; Elia in 2 Re 2,11). Solo la preghiera abitualmente consente di colmare l’invalicabile divario (cf Tobia 12,12).

Il contesto del nostro brano è dato dalle manifestazioni del Risorto ai discepoli: prima ad Emmaus (vv. 13-35), poi nel cenacolo (vv. 35-48). Il riferimento ai sinottici ci evidenzia come solo Marco accenni all’Ascensione (Mc 16,15-20), ma in sostanza Marco (come pure Matteo 28,16-20) mette in maggior rilievo l’invio degli apostoli al mondo intero, mentre Luca (il cui testo è parallelo ad At 1,1-11) parla della promessa dello Spirito Santo.

L’ascensione è narrata da Luca due volte, rispettivamente come conclusione dell’Evangelo e come inizio degli Atti; è la cerniera tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa, chiamata, per la potenza dello Spirito, a riviverlo qui ed ora nella testimonianza e nell’annuncio.

È insieme l’ultima apparizione del Risorto e il suo modo definitivo di essere tra noi fino al suo ritorno.

I Lettura: At 1,1 – 11

Il testo è decisivo, di importanza enorme per la teologia e la spiritualità, per la mistagogia e la pastorale. Luca infatti compone un Evangelo su Gesù Cristo. Ma anche un «Evangelo storia della Chiesa», gli Atti. Di una Chiesa esemplata sul suo Signore, nato, battezzato, trasfigurato, inviato a predicare l’Evangelo, ad accettare la Croce, per salire al Padre. È la missione intesa dal divino Disegno. Come il Signore, perciò, è la Chiesa di Lui. La Chiesa assume inizio «da quanto Gesù cominciò a operare e a insegnare» (v. 1; Luca ne ha già dato resoconto nel suo Evangelo, Lc 1,1-4), e dalle parole del Signore dette nello Spirito Santo agli Apostoli scelti da Lui (v. 2; e Lc 24,44-49). Allora il Figlio può essere «assunto» dal Padre. Ha lasciato recettori dei suoi precetti i discepoli istruiti nello Spirito Santo, in specie nel periodo normativo dei 40 giorni dopo la Resurrezione (numero simbolico, vedi sopra), manifestandosi a essi come il Vivente, e insegnando a essi i Misteri del Regno di Dio che viene (v. 3). Così l’insegnamento della Vita storica si salda con quello dopo la Resurrezione e tutto deve essere portato agli uomini. Tuttavia, la condizione è ricevere lo Spirito Santo nel battesimo nuovo, inaudito; così diverso da quello del Battista, finora l’unico conosciuto. Lo Spirito Santo è «la Promessa del Padre», donata in modo formale e ripetuto, e tra poco realizzata. Il luogo di questo è il cenacolo, dove ora il Risorto parla e dove irromperà lo Spirito Santo (vv. 4-5).

Eppure, lo Spirito Santo che, venuto, inaugura il Regno con il Convito nuovo, è argomento che interessa di meno i discepoli. Essi sono ancora tesi al regno umano, alla liberazione politica, sogno di sempre, che occupa tanta parte dell’epoca moderna. Il «Regno di Dio», che tuttavia attraversa la storia degli uomini, non è fondato sull’umano e sul politico; biblicamente infatti significa la condizione della salvezza totale per il popolo, ma portata dal «Re Salvatore» di tutti, salvezza di Dio per tutti. E Dio per questo ha tempi e condizioni e momenti privilegiati, da Lui solo intesi. Perciò il Signore esclude che i discepoli possano gestire i pronostici del Regno di Dio, operanti solo divinamente (vv. 6-7), e insiste di nuovo che si deve “accettare” (più che ricevere passivamente) lo Spirito Santo che viene dall’Alto come Potenza irresistibile (v. 8). Così i discepoli saranno nello Spirito Santo testimoni del Risorto in tutta la terra. A partire da Gerusalemme, dalla Comunità Madre che sarà feconda di figli, nelle Comunità figlie nel mondo.

Finalmente, il Risorto, il Figlio dell’uomo glorioso (Dan 7,13-14) è «rapito via» dalla Nube della Gloria divina, lo Spirito Santo, che Lo aveva preso sotto protezione divina alla Trasfigurazione, e che del resto il Signore stesso aveva preannunciato durante la Passione (vedi Mt 26,64, e par.). È questa la Gloria del Padre che «assume» a sé il Figlio (v. 9). I discepoli sono attoniti, perché non comprendono le Scritture prima del dono dello Spirito Santo, e guardano «verso l’alto». Intervengono «due Uomini» in vesti bianche. È una teofania (v. 10), la medesima dei due Uomini che Luca descrive al sepolcro (Lc 24,4). Qui la Chiesa Madre giudeo-cristiana vedeva giustamente la forma simbolica teofanica della divina Presenza del Padre, che sono Cristo e lo Spirito Santo. Le parole dei Due sono fondamentali: «Uomini Galilei, perché state fermi a guardare verso il cielo? Questo Gesù, l’Assunto via da voi verso il Cielo, così verrà, nel modo onde Lo contemplaste procedente verso il Cielo» (v. 11). È uno dei testi base della «teologia di Cristo Icona», e della sua icona liturgica. Esso avverte che come Egli è dopo la Resurrezione, la quale è lo stato ultimo, così resterà in eterno. Sarà visibile così in eterno. Tale tornerà tra gli uomini nella Venuta ultima, quando per eccesso di amore verrà a prendersi i suoi per stare con essi per sempre.

E si mostrerà come «il Visibile del Dio Invisibile», l’Icona perfetta di Dio. Icona trasformante ad opera dello Spirito Santo, per rendere gli uomini «simili a Lui per vederlo come Egli è» (1 Gv 3,1-2). Altra “icona” non esiste. L’icona del Signore mostra l’unico Volto della Bontà del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, reso visibile in eterno.

L’Ascensione di Cristo è dunque il vertice dell’Evangelo di Luca; tutto l’itinerario di Gesù e dei discepoli che camminano con lui ha come meta ideale quella collocata sul monte più alto di Gerusalemme, quello degli Ulivi.

Si ricordi, che quando l’Evangelista Luca apre la sezione centrale del suo Evangelo dedicata alla lunga marcia di Gesù verso Gerusalemme, il racconto si apre con questa notazione: «Mentre stavano per compiersi i giorni della sua ascensione, Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme» (9,51). Ma già all’interno della Trasfigurazione Luca aveva definito il contenuto del dialogo di Gesù, Mose ed Elia: «Parlavano della sua dipartita (letteralmente “esodo”) che Gesù avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (9,31). Questo esodo glorioso era appunto l’ingresso del Cristo nella luce del Padre e nella Gerusalemme celeste e perfetta. Gesù giunge a Gerusalemme come ad un approdo definitivo, quello della sua morte e resurrezione ed è appunto a sigillo della vicenda pasquale che il terzo Evangelista pone l’ascensione: è, infatti, con il brano che costituisce l’odierno testo evangelico che si chiude l’intera prima opera lucana. Gesù come un sommo sacerdote, alza le mani e benedice la sua Chiesa e davanti a lui tutta la comunità credente si pone in atteggiamento liturgico di adorazione, di lode e di festa.

Come l’inizio dell’Evangelo di Luca fu nel tempio con la benedizione mancata di Zacaria, che non ebbe fede, termina ora nel tempio con la benedizione e la gioia dei discepoli, che hanno riconosciuto ed adorato il Signore. In mezzo c’è tutto il cammino di Gesù, che ha loro aperto gli orecchi e la mente all’ascolto, gli occhi e il cuore alla visione.

Come orientare dunque la proclamazione della pericope evangelica:

Canto all’Evangelo Mt 28,19.20

Alleluia, alleluia.

Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore.

Ecco, io sono con voi tutti i giorni,

fino alla fine del mondo.

Alleluia. 

Con il canto all’Evangelo di Mt 28,19a.20b. la festa dell’Ascensione che celebriamo comprende di necessità l’invio dei discepoli in missione alle nazioni pagane, con la promessa formale della Presenza del Signore, indefettibilmente. Così è orientata la proclamazione evangelica. Vedi anche antif. alla comunione:

Antifona alla Comunione Cf Lc 24,47

«Nel nome del Signore Gesù

predicate a tutte le genti

la conversione e il perdono dei peccati». Alleluia.

Da questa missione dipende la salvezza degli uomini. Di questo insegnamento divino il contenuto è tutto quello che il Signore comandò ai discepoli (Mt 28,20a). Il punto richiamato è di grande interesse. I discepoli ascoltarono il Maestro ma nulla compresero, anzi alcuni ancora dubitavano. Come insegneranno quanto non compresero? Va qui giustamente ricordata la presenza del Signore e in secondo luogo ricordare anche che l’Ascensione nel NT è vista concordemente come condizione per il Dono dello Spirito della Verità, il quale introdurrà i discepoli «nell’intera verità» (Gv 16,13) fino ad oggi.

Esaminiamo il brano

44-45 – Sono stati compresi perché costituiscono l’inizio naturale e la premessa per comprendere la pericope di oggi. Gesù si è fatto riconoscere dai discepoli (vv. 36-43) e ha mangiato anche un pesce arrostito (cf Gv 21,9-14) davanti a loro. Ora parla ai discepoli, confermando quanto aveva normalmente insegnato nella sua vita pubblica: «… bisogna che si compiano tutte le realtà scritte nella Legge, nei Profeti, nei Salmi», la sua missione ha portato a compimento il piano di salvezza espresso nella Sacra Scrittura.

45-46 – Ai discepoli il Risorto «apre la mente» all’intelligenza della sua “Parola”; come dice anche l’apostolo in 1 Gv 5,20, ed apre i loro occhi come già aveva fatto ad Emmaus (v. 31). Gesù inaugura «la lettura omega» della sua vita, controllata sulla storia antica. Il Risorto finalmente compie il miracolo che non gli era riuscito quando era fra gli uomini: illuminare i discepoli come il cieco di Gerico (cf l’inizio e la fine della sua catechesi sul Figlio dell’uomo: 9,45 e 18,34).

L’Agnello immolato toglie il duplice sigillo: sia quello che c’è sulla Scrittura, che rivela ciò che nessuno mai vide (1 Cor 2,9), sia quello che c’è sul cuore (2 Cor 3,15), che è velato dalla menzogna antica.

Finalmente è sciolta la maledizione di Isaia: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere, dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non posso perché è sigillato”. Oppure si dà il libro a uno che non sa leggere, dicendogli: “Leggilo”, ma quegli risponde: “Non so leggere”» (Is 29,11-12). Ora, «noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3,18).

47- Nell’annuncio c’è la predicazione della conversione e la remissione dei peccati a tutte le nazioni pagane, nel suo nome. Tutte le nazioni pagane sono comprese nell’invio in missione dei discepoli (cf Mt 28,19), anzi in Mc 16,15 abbiamo una dichiarazione più ampia:«a tutta la creazione».

L’inizio di quest’opera, come segno simbolico prestigioso, è Gerusalemme. Ricordiamo ancora che in Lc 9,51 (durante la quaresima) è a Gerusalemme che Gesù «sale», ed è da Gerusalemme che «discende» la grazia dello Spirito a tutti gli uomini (cf la lettura v. 8).

48 – Gli apostoli sono testimoni (dal gr. mártys) per diritto e per dovere non solo delle cose viste stando con lui (At 21-22), poiché hanno «mangiato e bevuto» con il Signore (cf At 1,4; 10,41), ma dell’esperienza personale dell’incontro con Gesù, dell’adesione a lui nella fede, al di là delle loro attese e prospettive umane (cf Lc 24,11. 25. 38. 41).

49 – «quello che il Padre mio ha promesso»: L’espressione è simile ad At 1,4 e designa lo Spirito (cf Gv 14,16.26); è la forza dì cui si parla in At 1,8 che ha consacrato Gesù stesso per la sua missione (At 10,38; Mt 3,16).

Epangelía (sing. femminile) = ordine, promessa (cf anche Rm 4,13 e Gal 3,14 ciò che è stato promesso); per la prima volta nell’Evangelo abbiamo il termine tecnico con cui si designa la promessa di Dio al suo popolo. Solo qui in tutto Luca.

«restate in città»: dal gr. kathízō attivo imperativo aoristo formato da katha (giù) +izo (kathízō) = mettere a sedere; è un ebraismo nel senso di passare un certo tempo aspettando pazientemente (cf Mt 5,1 e 2 Ts 2,4).

«rivestiti»: dal gr. endýō lett. andare sotto, immergere: cf Mt 27,28 (rivestito di porpora); Mt 6,25 (non preoccupatevi di cosa indosserete); Rm 13,12 (rivestitevi delle armi della luce).

«potenza»: dal gr. dýnamis = forza, potere, capacità (cf Mt 24,30; 2 Cor 12,9).

50-51- L’ascensione di Gesù, il gesto finale del Signore è descritto con una semplicità che ci sconcerta e ci disarma. Li conduce a Betania (come è detto anche in At 1,12): Betania è il luogo in cui comincia e finisce il suo soggiorno a Gerusalemme; posta a oriente della città, da lì si attende il ritorno della Gloria (Ez 43,2), perché da lì è partita (cf Ez 11,23),

Alza le sue mani nel gesto sacerdotale (cf Sir 50,20) e li benedice mentre è portato in alto; è il ritorno di Gesù al mondo da cui è venuto. I termini greci usati per descrivere l’Ascensione indicano una assunzione, un rapimento (opera di Dio) piuttosto che un’ascensione (compiuta da Cristo).

In Luca si dice «fu portato»; in At 1,9 «fu elevato», ma anche in Ap 12,5 «fu rapito »; solo Paolo usa «ascendere» in Ef 4,8 e Gv 20,17; tuttavia Gesù venuto dal Padre, vi ritorna.

«li condusse fuori»: exágō= far uscire; condurre. Condurre fuori indica l’azione di Dio quando liberò il suo popolo (cf At 7,40). Mose ed Elia parlavano con Gesù del suo “esodo” che stava per compiersi a Gerusalemme (cf 9,31). II compimento dell’esodo di Gesù segna l’inizio del nostro: mentre ascende al cielo, conduce fuori anche i suoi discepoli, «li benediceva»: per due volte l’Evangelista Luca sottolinea la benedizione di Gesù; le sue mani, ormai per sempre alzate al Padre, sono stese per sempre su di noi. È Mose che intercede per i suoi in lotta (Es 17,8-16), è l’arbusto che accoglie sotto la sua ombra gli uccelli del cielo (Lc 13,18-19). Il suo andarsene da noi non è assenza; egli crea in noi quel vuoto e quel desiderio che lui riempirà e compirà con il suo Spirito. Il suo andarsene da noi genera un vortice che risucchia a lui (cf. Icona dell’Ascensione).

52-53– il gr. proskynéō= prostrare, adorare (cf Mt 2,2; 4,10; Ap 22,8). per la prima volta i discepoli adorano il Signore Gesù; hanno riconosciuto il Signore e lo adorano! Adorare significa «portare la mano alla bocca e mandare reverente bacio»; la sposa ha trovato il suo sposo e lo può amare e i due faranno una carne sola. La fede degli apostoli, prostrati nell’adorazione, esplode in lode gioiosa nel tempio.

Il racconto dell’Ascensione si conclude così, con una solenne celebrazione liturgica; l’Evangelo di Luca termina così nel tempio dove era iniziato (cf Lc 1,5 ss).

Il tempio, abitazione di Dio, è ora abitazione stabile dell’uomo; l’uno e l’altro abitano insieme, anzi, Dio si fa dimora dell’uomo e l’uomo dimora di Dio. Questa è la piena benedizione! Ora si compie un desiderio di Dio: che l’uomo lo desideri come lui stesso lo desidera.

«Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 27,4). Ed il Signore dice: Amen, così e così sia!

Colletta

Esulti di santa gioia la tua Chiesa,

o Padre,

per il mistero che celebra in questa liturgia di lode,

poiché nel tuo Figlio asceso al cielo

la nostra umanità è innalzata accanto a te,

e noi, membra del suo corpo,

viviamo nella speranza di raggiungere Cristo,

nostro capo, nella gloria.

Egli è Dio…