L’invito a vincere il turbamento, a non lasciarsi sconvolgere dagli eventi apre (v.1) e chiude (v.27) questo capitolo del vangelo di Giovanni. Gesù cena e parla con i suoi discepoli in un ambiente privato, la sera prima del suo arresto. Si tratta al contempo di «discorsi» testamentari e di congedo. I discepoli sono turbati dell’annuncio di una lacerazione in seno alla loro comunità: il tradimento di uno dei dodici1, il sopraggiungere dell’ora che Gesù se ne “vada” dove loro non possono seguirlo2 e il rinnegamento di Pietro3. Gesù desidera consolarli in questo tempo difficile; gli chiede di rimanere saldi nella fede, perché l’ora della separazione può essere trasformata nell’ora della maggior comunione, l’ora dell’odio e del tradimento nell’ora dell’amore più grande. Il tema della conversazione con i discepoli è sostanzialmente la modalità della loro relazione con Gesù dopo la separazione ormai da lui imminente.
Il dono dello Spirito Santo, «altro paraclito» dopo Gesù4, renderà possibile la forma nuova che la relazione maestro-discepoli prenderà dopo la Pasqua. Se, da un lato, i discepoli devono fare i conti con la necessità che Gesù «vada» (vv. 2-4.12.28), dall’altro sono rassicurati sul fatto che egli di nuovo «viene» a loro (vv. 18.28) e vuole loro manifestarsi (vv. 21-24). I destinatari di questi
«discorsi» sono invitati a considerare se stessi come «dimora» dell’alterità divina. «Amare» (vv. 15- 26) e credere nell’amore (vv. 27-31) sono le uniche condizioni richieste per poter seguire la via tracciata da Gesù e vivere sin dal presente – grazie alla presenza e all’azione dello Spirito «paraclito» – la pace di Cristo (v. 27).
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Sentieri d’interpretazione
All’inizio del nostro brano Gesù risponde alla domanda di Giuda (non l’Iscariota) che gli chiede perché mai si sarebbe manifestato solo ai suoi e non al mondo? 5 Questo discepolo è sulla scia dei fratelli di Gesù che lo spingevano a manifestare pubblicamente le sue opere, a svelarsi a tutti con i convincenti mezzi del prodigioso, dello straordinario6. Questa stessa prospettiva si ripropone nella Chiesa come tentazione di cercare i grandi numeri, il consenso facile, per avere maggiore audience. La risposta di Gesù richiama l’autenticità di una vita spirituale nascosta, ma reale, fondata in quelle verità irrinunciabili che fanno dell’essere umano un credente: l’amore per il Signore, la custodia della Parola (v. 23), la vita interiore animata dallo Spirito (v. 26). Tutto il resto rischia di essere scena, politica ecclesiale, raduno di militanti, apparenza di vita più che autentica vita.
Custodire la parola del Padre7 è la condizione di possibilità perché la relazione d’amore con il Maestro, nonostante le apparenze, non sia in realtà interrotta dalla morte (vv 23-24). Come la creazione, la Parola ci viene consegnata come un dono del quale prendersi cura. Nel libro della Genesi, l’uomo è invitato da Dio a coltivare e custodire l’ambiente che lo circonda – il giardino dell’Eden8 -, a completare con la sua opera il disegno della creazione e così facendo realizzare in modo compiuto il suo essere ad immagine di Dio9. Nel Vangelo, il discepolo di Gesù è chiamato a custodire e osservare con attenzione la sua Parola – che è la via, la verità e la vita10 -, a conservare e fare fruttificare questa eredità (v. 24), e così facendo, essere co-responsabili dell’opera pacificatrice e riconciliatrice portata a compimento del «Principe della pace»11. In altre parole, siamo convocati a custodire la via del perdono12, la via della fratellanza13 e la via della giustizia14.
«dov’è tuo fratello?», egli risponde: «sono forse io il custode di mio fratello?» (Gn 4,9). È evidente che pur senza che gli venga chiesto esplicitamente, Caino rivela quale doveva essere la sua relazione con il fratello, una relazione contrassegnata dalla tutela.
Nello spazio scavato dall’assenza di Gesù, in coloro che obbediscono al comandamento nuovo dell’amore reciproco15 prende «dimora» permanente il Padre e il Figlio (v. 23)16. Il vero spazio della comunione e della rivelazione viene in realtà aperto nell’intimo dei discepoli in atto di amarsi reciprocamente. Questa è l’unica condizione per continuare ad amare Gesù e, così, lasciarsi amare da lui e dal Padre (v. 21.23). Obbedendo all’amore i discepoli faranno un’esperienza di comunione/rivelazione non accessibile al «mondo», che ama solo ciò che gli appartiene e non è in grado di accogliere l’alterità divina17.
Gesù ribalta l’aspirazione del suo popolo di abitare nella casa del Signore18 e chiede ospitalità ai suoi (vv.23.28), condivisione della quotidianità della vita19, come ha fatto con Zaccheo20. La venuta del Signore21, non è solamente evento futuro, lontano e grandioso, ma evento chiamato a inverarsi oggi nel segreto del cuore. I discepoli sono così innescati nella circolarità dell’amore trinitario22: non sono soli, perché Gesù sarà con loro nella Parola – che è del Padre e del Figlio23 – e nello Spirito24, il nuovo maestro nell’amare che continuerà a perpetuare in loro la memoria di Gesù e a insegnarne la parola.
Se Gesù si lascia consegnare e accetta di morire è perché il mondo possa comprendere e riconoscere in lui la differenza tra il Regno di Dio e il mondo, tra l’amore del Padre e la violenza. Le sue parole d’addio sono d’incoraggiamento, rassicurazione e conforto. Il suo saluto è dono di pace (v. 27)25; offerta di pienezza, frutto di una vita vissuta in armonia con se stessi, con i fratelli, con Dio e con la natura. La pace di Gesù ha il suo volto e il suo cuore; non significa necessariamente una situazione di non guerra, o uno stato di tranquillità e di benessere. La pace di Gesù è in mezzo a questa vita di delusione, di persecuzione, di progetti stravolti. È una pace profonda, che sta sotto tutte queste cose e che ci insegna ad andare avanti nella vita; ci insegna a sopportare, cioè portare sulle spalle, le difficoltà, il lavoro, le prove, le malattie, i traumi, senza perdere la capacità di «far sorridere il cuore»26. Una pace senza croce non è la pace di Gesù, insegna papa Francesco27. La pace di Gesù non è quella che dà il mondo (v. 27): la «pace delle ricchezze», «la pace del potere», «la pace della vanità». La pace di Gesù è un regalo grande, è una persona, è lo Spirito Santo! È una pace definitiva, quella pace da dentro. Infatti «la presenza dello Spirito fa sì che il nostro cuore sia in pace, conscio ma non anestetizzato, con quella pace che soltanto la presenza di Dio ci dà»28.
Per secoli i profeti dell’Antico Testamento aspettarono la venuta del Messia come il «Principe della pace». Il regno messianico avrebbe dovuto essere un regno di pace e giustizia29, perché l’uomo sarebbe stato completamente riconciliato con Dio e con le forze ostili della natura30; il mondo intero sarebbe stato pieno della conoscenza manifesta della misericordia divina31 e gli uomini – figli di Dio e oggetto della sua misericordia – sarebbero vissuti in pace l’uno con l’altro32. I primi cristiani erano convinti che questo regno di pace fosse già stabilito nella Chiesa, poiché il Cristo risorto aveva ricevuto dominio su tutto il cosmo e mandato il suo Spirito ad abitare negli uomini33. Cristo stesso era la loro pace, perché il suo Spirito li teneva uniti nell’amore34. La pace cristiana non poteva essere conseguita attraverso nessun programma etico o politico, perché era un dono escatologico del Cristo Risorto35. Tutti erano, da quel momento in poi, «uno in Cristo»36. Il comandamento cristiano di amare i nemici era considerato dai primi cristiani espressione di fede escatologica nella realizzazione delle promesse messianiche e, di conseguenza, testimonianza di una dimensione assolutamente nuova nella vita dell’uomo. Qui «pace» indicava tutti i beni messianici37 – giustizia, liberazione, salvezza, gioia, unificazione – che Dio aveva ricominciato a diffondere sul popolo dopo tanti anni di solitudine. Qui «pace» era l’abbattimento del muro di separazione38, riconciliazione tra ebrei e pagani, segno della riconciliazione universale che abbatte la divisione tra coloro che possiedono qualche cosa e coloro che non possiedono. La comunità cristiana si sentiva chiamata ad annunciare questa riconciliazione – il vangelo della pace39 – compiuta da Dio attraverso l’azione di Gesù nostra pace40.
Alla fine, contro la tentazione di imprigionare, di fare dell’Amato un oggetto del proprio«amare», Gesù avverte ai suoi: «se mi amaste, gioireste del fatto che io vado al Padre…» (v. 28).
L’alterità divina prende dimora presso di noi, ma la porta deve rimanere aperta! Chi ama non trattiene, ma lascia andare, lascia che l’altro sia se stesso, lo lascia crescere. Qui ci viene chiesto di rinunciare ad un amore tossico che si trasforma in voglia di possesso e di coltivare un amore che si rallegra quando l’Amato trova la sua pienezza, anche se questo implica una rinuncia alla vicinanza.
Attualizzazione
All’uomo contemporaneo, stressato dalla conquista dello spazio e della visibilità, bisogna contrapporre la conquista del tempo, che è interiorità e persino nascondimento, perché i valori e i significati profondi dell’esistenza non si comprano né si vendono, possono solo essere coltivati, curati nel cuore per poter essere condivisi nella storia. Custodire la Parola, custodire il dono della pace di Cristo: opera di un cuore che sa ascoltare, che impara a sorridere nella tribolazione ed è capace di stare piuttosto che fare. La divisione, il conflitto, la discordia, lo scisma, l’odio e le guerre appartengono al mondo al di fuori del Regno, il mondo al di fuori del mistero e dello spirito di Cristo41.
Per essere evangelo di pace bisogna percorrere la via della fraternità dentro e fuori della Chiesa. Cosa significa essere fratelli e sorelle? I fratelli riconoscono un’origine comune; le sorelle condividono una casa e una storia comune; i fratelli e le sorelle sono alla pari, stanno uno di fronte all’altro in una relazione simmetrica. Il principio di fraternità richiede perciò l’abolizione della disuguaglianza (disparità), della divisione (separazione) e della subordinazione (soggezione) tra uomini e donne, tra ricchi e poveri, tra clerici e laici, tra cristiani e non cristiani, tra esseri umani ed altri esseri viventi. Questo dono escatologico di giustizia, equità, integrità, armonia e cooperazione tra tutti gli esseri viventi (regno animale e vegetale inclusi) trova nell’esercizio della carità la sua anticipazione. Qui si intende la carità di colui che è capace di abbassarsi/svuotarsi fino a superare il dislivello che gli separa dal suo prossimo. Questo avviene quando chi «sta al di sopra» si mette sullo stesso livello di chi «sta al di sotto», in modo che possano fissarsi negli occhi senza barriere, senza gerarchia, senza giudizio. Essere fratelli dentro e fuori della Chiesa diventa così sequela di Cristo, «il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini»42. Questo è dono dello Spirito che opera l’unificazione dei opposti (coincidentia oppositorum), senza sopraffazione o confusione (sincretismo), ma con cooperazione e condivisione (sinergia), quando avviene il miracolo delle differenze che si sommano e non si sottraggono.
Con il tema della pace tocchiamo le relazioni umane, il rapporto tra soggetti umani e altri soggetti non più umani; accostiamo il luogo dell’accettazione e del rifiuto, le passioni più forti che ci portiamo dentro, quelle unitive e quelle oppositive. Dobbiamo affrontare il fatto che la guerra non è solo il prodotto di cieche forze politiche, ma di scelte umane. La brutale realtà è che sembriamo «preferire» le misure distruttive, perché siamo ciecamente e disperatamente coinvolti in bisogni e atteggiamenti che rendono la guerra inevitabile. La lotta contro la guerra non è perciò rivolta solo contro la bellicosità delle potenze mondiali, ma contro la nostra stessa violenza, fanatismo e avidità. Siamo concordi nell’affermare che la pace non è oggetto di dibattito, ma è un bene da chiedere, è una via su cui camminare, un modo di essere da perseguire ponendo le premesse necessarie perché questo bene sia possibile; o, almeno, perché a questo bene ci si avvicini in maniera che, se non riusciamo a essere pienamente operatori di pace43, non ne siamo però distruttori.
Ci assale il timore che le premesse della pace siano impraticabili in un momento come quello di oggi. Tuttavia è compito del cristiano rendere il pensiero della pace di nuovo seriamente possibile. La responsabilità cristiana però non è verso una parte o l’altra nella lotta di potere: è verso Dio, la verità e l’umanità intera. Ci chiediamo come porre dei segni di pace in un mondo che non offre la possibilità di cambiare se non poche cose. Ci rendiamo incapaci di prendere con totale serietà sia il disarmo sia la pace. Ci troviamo, insomma, davanti a delle strade che sembrano impraticabili, utopiche e, nello stesso tempo, percepiamo che la pace è una necessità inesorabile, una questione di vita o di morte. Ma la domanda più importante da porsi non è tanto «che cosa ci capiterà?», ma «quali sono le nostre reali intenzioni»? Sentiamola come una domanda che ci è posta dal Signore e giudici della vita e della morte. A Caino, ad esempio, dopo l’assassinio di Abele, fu chiesto dove fosse suo fratello. Anche a Giuda fu posta una di queste domande: «Amico, perché sei qui?»44. Giuda, «avendo imparato alcune verità fondamentali, sapeva che la risposta accettabile a domande così cruciali aveva qualche cosa a che fare con l’amore. Così baciò Cristo. Ma il suo bacio era un segno di tradimento. A noi è posta esattamente la stessa domanda, se non direttamente e apertamente da Cristo, almeno dalla storia, di cui noi, come cristiani, crediamo che egli sia il Signore. Non dico che il nostro amore per Cristo, disperato e confuso com’è, sia poco più che un gesto di tradimento. Ma siamo sinceri nell’affrontare la domanda e speriamo, per grazia di Dio, di rispondere meglio di Giuda»45.
- 1 Gv 13, 21-30.
- 2 Gv 13, 3.33.36.
- 3 Gv 13, 38.
- 4 1 Gv 2, 1: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il Giusto».
- 5 Gv 14, 22.
- 6 Gv 7, 3-4: «I suoi fratelli, allora, gli dissero: “Spostati da qui e vai in Giudea perché i tuoi discepoli vedano le opere che fai. Nessuno, infatti, agisce di nascosto se intende essere riconosciuto pubblicamente; se fai queste cose, manifestati al mondo!”».
- 7 Il verbo téreō, nel Nuovo Testamento viene tradotto spesso come osservare, ma il significato primario è custodire, tenere sotto osservazione: «Padre santo, custodiscili nel tuo nome» (Gv 17, 11; 14,23). «Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d’Israele» (Sl 121, 4).
- 8 Gen 2, 15.
- 9 Questo atteggiamento di custodia è chiesto nei confronti degli esseri viventi, ma soprattutto nei confronti del fratello. Di questo è ben consapevole Caino: dopo l’uccisione di Abele, di fronte alla domanda del Signore:
- 10 Gv 14, 6.
- 11 Is 9, 5-6. Questo brano si legge nella notte di Natale.
- 12 Lc 5, 31: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori (…)». Sulla necessità del perdono: Mt 18, 21-22; Lc 17, 3-4; Mc 11, 25-26.
- 13 Gv 15, 15: «Non vi chiamo più servi, (…); ma vi ho chiamati amici (…)».
- 14 Sl 85, 11-12: «Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo».
- 15 Gv 13, 34-35.
- 16 Gv 14, 19: «il mondo non mi vedrà più; voi, invece, mi vedrete, perché io vivo e anche voi vivrete».
- 17 Gv 7, 7: «Il mondo non può odiare voi; me, invece, mi odia perché io attesto di esso che le sue opere sono malvage».
- 18 Sl 27, 4: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita (…)».
- 19 Mt 28, 20: «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
- 20 Lc 19, 5: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».
- 21 Gv 14, 18: «non vi lascio orfani, vengo a voi».
- 22 Gv 14, 20: «voi conoscerete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».
- 23 Gv 14, 10: «Le parole che io vi dico non le dico da me stesso, ma il Padre che dimora in me fa le sue opere». 24 Il dono dello Spirito è il contenuto della preghiera che Gesù eleva al Padre per i discepoli, sicuro di essere esaudito (v. 26).
- 25 Lo stesso giorno della Resurrezione, Gesù ribadisce ancora una volta il suo dono, venendo in mezzo ai discepoli riuniti con le porte chiuse per paura, disse: «Pace a voi! (…) Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20, 19.21.26).
- 26 PAPA FRANCESCO, La pace che fa sorridere il cuore, Meditazione 21 maggio 2019.
- 27 PAPA FRANCESCO, La pace non è tranquillità, Meditazione 16 maggio 2017.
- 28 PAPA FRANCESCO, Come bambini davanti a un regalo, Meditazione 20 maggio 2014.
- 29 Is 32, 17: «Il frutto della giustizia sarà la pace e l’opera della giustizia consisterà nella tranquillità e nella sicurezza per sempre».
- 30 Os 2, 20-22.
- 31 Is 11, 9: «Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare».
- 32 Is 54, 13-14: «Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, grande sarà la prosperità dei tuoi figli; sarai fondata sulla giustizia».
- 33 At 2, 17: «Negli ultimi giorni, dice il Signore: “Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni.”».
- 34 Ef 4, 2-3: «con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace.»
- 35 Gv 20, 19.
- 36 Gal 3, 28: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tuti voi siete uno in Cristo Gesù».
- 37 Am 9, 13-14.
- 38 Questo «muro di separazione» si potrebbe vedere esemplificato nella balaustra che nel tempio di Gerusalemme separava i pagani dai giudei: c’era, infatti, un muro che divideva una zona sacra, attraverso il quale non potevano entrare se non gli ebrei per offrire il sacrificio, mentre i pagani restavano fuori.
- 39 Ef 6, 15.
- 40 Ef 2, 13-22.
- 41 Quando Gesù disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18, 11) e lo mise in guardia che chi di spada avesse colpito di spada sarebbe perito, non stava semplicemente proibendo la guerra. Egli soltanto avvertì che la guerra non era prevista nella via di uno che sta seriamente vivendo in Cristo.
- 42 Fil 2, 6-7.
Commento a cura di Maria de Fatima Medeiros Barbosa – Comunità Kairos
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay