Il nuovo comandamento dell’amore
«Amatevi come io vi ho amato e da questo tutti sapranno che sarete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Gesù dona il comandamento nuovo. Perché “nuovo”? Perché in questa forma non era ancora stato formulato, in quanto parte dell’uomo nuovo. Ecco il cuore della vita cristiana: l’amore fraterno. E il comandamento esprime la forma più alta della “regola d’oro” ossia il fare agli altri ciò che si desidera venga fatto a noi.
Il problema è come arrivare a questo amore, come renderlo una realtà operativa, vissuta, non solo un discorso su valori astratti che ci lasciano come siamo. Il passo del vangelo contiene il mistero dell’evoluzione che – dal vecchio – giunge al comandamento nuovo. Vediamolo.
Gesù dà questo impegno nell’ultima cena in un preciso momento, subito dopo l’uscita di Giuda dal cenacolo. E dice: Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato» (Gv 13,31). Esistono, quindi, delle tappe da percorrere per arrivare a questo amore: bisogna passare per l’esperienza della gloria di Dio incontrando la gloria di Cristo.
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Il termine ebraico kabod (“gloria”) indica il peso, la verità, il mistero, la sostanza di una cosa. Gesù mostra la sua gloria proprio nel momento in cui Giuda sta andando a tradirlo. Significa che, per arrivare all’amore di Cristo, bisogna passare dal farsi carico dell’ingiustizia dell’altro: in questo caso l’esperienza drammatica del tradimento di Giuda.
Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conosce veramente alla fine, si legge nel Siracide (11,28). Per vedere la verità di un uomo bisogna un po’ spremerlo, metterlo sotto pressione; Cristo, messo sotto la pressione del tradimento, del male dell’uomo, produce il suo succo migliore. La gloria da conoscere è la risposta di Gesù ai nostri peccati e tradimenti.
Dio è glorificato in Cristo, e noi lo conosciamo veramente solo quando ci lasciamo inondare dalla sua risposta misericordiosa al nostro male. Solo a questo punto, finalmente, possiamo capire il comandamento nuovo. «Così come io ho amato voi»: Gesù parla della gloria appena apparsa attraverso il male che ha catturato il cuore di Giuda, il quale permette a Cristo di manifestare il suo amore mansueto, immediatamente successivo al tradimento. La forza per amare scaturisce dall’avere constatato il nostro male e aver visto la risposta di Dio al nostro male, l’amore e la misericordia perfetta.
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Non sono i giusti che sanno amare, ma quelli che si ritengono ingiusti; perché i primi si sentono buoni e fanno le cose a misura di quello che loro credono di saper fare. I secondi perdonati, invece, sono in grado di amare perché hanno conosciuto il proprio limite come gli apostoli dopo l’ultima cena.
Dobbiamo scendere dal nostro piedistallo, dalle convinzioni su noi stessi e scoprire continuamente come Cristo ci ha amato. Da lì in poi sgorgherà un dolce, intimo debito nel cuore perché è impagabile essere stati trattati come non meritiamo.
Il cristiano è un superbo disarcionato, un saccente umiliato e ridimensionato, amato nel suo male. Ed è per questo che i cristiani si accolgono gli uni gli altri e si servono gli uni gli altri, perché sono stati serviti gratuitamente senza merito. È l’amore incondizionato di Dio che ci fa cristiani e, se non amiamo il prossimo, se non siamo capaci di servizio e di accoglienza reciproca, alla radice è perché crediamo di essere noi la fonte dell’amore.
Per fare un santo ci vuole un peccatore perdonato.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli