mons. Vincenzo Paglia – Commento al Vangelo del 1 Maggio 2022

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Il brano evangelico che la Liturgia ci annuncia in questa terza domenica di Pasqua ci narra la terza apparizione di Gesù agli apostoli dopo la risurrezione, come a volerci far restare dentro il mistero della Pasqua come narrato dai Vangeli. L’invito rivolto da Gesù ai discepoli in quel mattino, sulla riva del mare di Galilea, si realizza così anche per noi in questa santa Liturgia: “Venite a mangiare”. La Liturgia infatti è sempre un invito che il Signore ci rivolge. E come allora si realizza la parola evangelica: “Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro”.

La santa Liturgia ci fa vivere il grande dono della Pasqua. Un dono di cui tutti, il mondo intero, ha bisogno. C’è bisogno di vivere con la gioia nel cuore la Pasqua perché possa forzare il mondo verso il regno di amore e di pace che Gesù è venuto ad instaurare tra gli uomini. Del resto, non è lontana da noi l’esperienza che fecero Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo e gli altri due discepoli in quella notte che erano tornati a fare i pescatori di pesci e non più di uomini. Ma, nota amaramente l’evangelista, “in quella notte non presero nulla” (Gv 21,3). Sì, neppure i pesci. È l’esperienza di tanti uomini e di tante donne, in tanti giorni e in tante notti: sembra non produrre nulla e sappiamo che è anche la nostra esperienza quando siamo lontani dal Signore. La “notte” di cui parla il Vangelo non è quella temporale, ma la condizione di chi vive lontano da Gesù. Senza il Signore è sempre notte e gli sforzi sono inutili. Gesù lo aveva detto ai discepoli nell’ultima cena: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).

Ma, mentre tutto sembrava chiudersi tristemente, Gesù si fece accanto alla stanchezza di quei sette apostoli, incontrò la loro fatica e la loro delusione. La vicinanza di Gesù, non importa se riconosciuto o no, comportò la fine della notte e, quel che conta, segnò l’inizio di un nuovo giorno, di una nuova vita per quei discepoli affaticati e spaventati. Egli chiese loro se avevano del pesce da mangiare. Quei sette furono costretti a confessare tutta la loro povertà e la loro impotenza. Non avevano neppure i cinque pani e i due pesci che presentarono a Gesù nella prima moltiplicazione dei pani. Gesù, che peraltro non avevano ancora riconosciuto, con amicizia autorevole li invitò però a cercare altrove: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Quei sette uomini accolsero l’invito e, senza opporre resistenza alcuna, sebbene fosse più che ragionevole esprimerla, obbedirono: e la pesca fu grande, miracolosa, oltre ogni misura. L’obbedienza alla Parola di Dio fa compiere i miracoli, quelli della Pasqua di risurrezione.

Ed è stata proprio questa esperienza di fecondità e di gioia che ha fatto dire ad uno dei discepoli, quello che Gesù amava: “È il Signore!”. Ancora una volta, per bocca del discepolo che aveva gustato l’amore, risuonava agli altri apostoli l’annuncio della Pasqua. Simon Pietro, nel sentire la vicinanza del Signore, comprese tutta la sua indegnità: davanti al Signore e al suo incredibile amore, ciascuno di noi vede la propria indegnità, il proprio peccato, il proprio bisogno di aiuto. Pietro si cinse subito i fianchi con una veste, era infatti nudo, si gettò nel lago e corse a nuoto verso Gesù. Gli altri, invece, vennero dietro con la barca trascinando la rete piena di pesci. Ed ecco che, al termine della pesca, giunti sulla riva, vedono un fuoco con del pane e dei pesci preparati da Gesù. Ad essi si aggiunsero anche quelli che avevano pescato, come a sottolineare l’abbondanza della vita che Gesù prepara per i discepoli. Di fronte a questo, nessuno osava domandargli nulla. Potremmo dire che rimasero senza parole, come quando si è superati dall’ amore e dalla tenerezza.

Era una scena semplice, piena di stupore, ma soprattutto piena di una domanda: quella di Gesù a Simon Pietro. Non era una domanda sul passato, o sulle delusioni; e neppure sulle non poche paure. Gli chiese solamente: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Gesù interpellò Pietro sull’amore. Non gli ricordò il tradimento di qualche giorno prima; l’amore infatti copre un gran numero di peccati. E Pietro, che pure si era vergognato davanti a lui e gli era corso incontro, prontamente rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Era una risposta più vera di quella che aveva dato quel giovedì sera nel cenacolo quando disse a Gesù: “Per te sono disposto ad andare in prigione e alla morte” (Lc 22,33).

Ora, la risposta era più vera, più umana. E, a lui che non meritava nulla, Gesù disse: “Pasci i miei agnelli”; sii responsabile degli uomini e delle donne che ti affido. Proprio Pietro che aveva mostrato di non essere in grado di restare fedele, doveva essere il responsabile? Proprio lui? Sì, perché ora Pietro accoglieva l’amore che Gesù stesso gli donava; e nell’amore si diviene capaci di parlare, di testimoniare, di prendersi cura degli altri.

Gesù non lo interrogò una volta sola sull’amore, ma tre volte, ossia sempre. Ogni giorno, ci viene chiesto se amiamo il Signore. Ogni giorno, ci viene affidata la cura degli altri. L’unica forza, l’unico titolo che ci permette di vivere è l’amore per il Signore. Gesù disse ancora a Pietro: “Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi”. Pietro forse ricordò la sua giovinezza di pescatore a Betania, quando si alzava presto per andare a pescare, quando usciva di casa per girare dove voleva, forse anche le sue delusioni e magari anche il luogo dove incontrò per la prima volta Gesù. Mentre gli tornavano in mente questi ricordi, Gesù aggiunse: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”.

Il Vangelo spiega che si parla della sua morte; ma Pietro, come ogni credente, non sarà lasciato solo: quell’amore sul quale siamo interrogati impegna il Signore prima che noi. È lui infatti che ci ha amati per primo e mai più ci abbandonerà, anche quando “un altro ci cingerà la veste e ci porterà dove noi non vorremmo”. Quel che conta è la fedeltà a quella scena sulla riva del lago, che ogni domenica si ripete per noi; quella scena ha un sapore di eternità, l’eternità dell’amore di Gesù per i suoi discepoli, per ciascuno di noi.


Per gentile concessione di mons. Paglia. FONTE