Don Lucio D’Abbraccio
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Fate questo in memoria di me
Il Triduo pasquale inizia con la commemorazione dell’Ultima Cena. Gesù, la vigilia della sua passione, offrì al Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandoli in nutrimento agli Apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria.
Questa sera la Chiesa ci raduna attorno all’altare, come quella sera del giovedì santo in cui gli apostoli insieme al loro Maestro si riunirono attorno alla tavola, per celebrare e vivere il mistero della cena.
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San Paolo, nella lettera che scrive alla comunità di Corinto, racconta l’istituzione dell’Eucaristia dicendo che: «il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”» (II Lettura). Queste sono le stesse parole che si ripetono ogni volta che si celebra la santa messa. Secondo il linguaggio biblico, il termine «corpo» sta ad indicare tutta la persona di Gesù, tutta la sua esistenza, così come il termine «sangue» sta ad indicare la sua morte. Ciò significa che Gesù offre tutta la sua vita e la sua morte al Padre per la nostra salvezza.
Il racconto della lavanda dei piedi dell’evangelista Giovanni, che ci presenta il Signore che si spoglia delle sue vesti; che si piega ai piedi dei discepoli, compreso Giuda Iscariota, il traditore; che si cinge dell’asciugamano; sono gesti che indicano il servizio e l’umiltà. Questo brano vuole ricordare a tutti i cristiani che Eucaristia e amore fraterno sono inseparabili, e cioè: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4, 20).
Il gesto della lavanda dei piedi, ripetuto nella liturgia, diventa, dunque, simbolo della fraternità cristiana e anticipa e concretizza il comandamento dell’amore: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35). Giovanni, infatti, annota scrivendo che il Signore e il Maestro dopo aver lavato i piedi ai suoi dodici apostoli, dice loro: «anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Questa affermazione di Gesù sta a significare l’amore che dobbiamo avere verso i più deboli, i malati, gli anziani, i poveri gli indifesi. Senza amore generoso, gratuito, non ci può essere vero servizio. La celebrazione della messa, senza fraternità vissuta, senza amore, senza servizio, non ha senso. A cosa serve andare in Chiesa se il nostro cuore è chiuso all’amore e alla misericordia? A cosa serve ricevere il Corpo del Signore se non siamo capaci di perdonare?
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«Fate questo in memoria di me» significa, quindi, che se vogliamo essere dei veri cristiani dobbiamo essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri e a riconoscere nei fratelli il Cristo servo, il Cristo umile, il Cristo povero, il Cristo obbediente. Solo così la celebrazione eucaristica diventa il sacramento della condivisione della vita di Cristo tra fratelli che si amano e si servono reciprocamente.