AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette»”.
Gesù prende come pretesto la domanda di Pietro per metterci davanti a una modalità di perdono insopportabile perché prevede l’infinito moltiplicato sette volte. Eppure questa eccessiva linea di pensiero di Gesù è spiegata immediatamente dopo dalla parabola che Egli stesso racconta: ci sono due debitori. Il primo ha un debito così grande che nemmeno dieci vite basterebbero per ripagarlo.
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Il secondo ha un debito ha un debito di pochi spicci. Al primo viene fatta la grazia non solo della pazienza di aspettare ma viene fatta la grazia di avere il debito condonato. Il secondo debitore invece che ha contratto il debito con l’uomo graziato, si ritrova per mano di quest’ultimo gettato in galera.
Come è possibile che un uomo che ha sperimentato una grazia così grande non riesca a fare allo stesso modo con un suo simile? Sembra che Gesù voglia sottolineare lo scandalo di un simile gesto, quasi a suggerirci che il fatto che dobbiamo perdonare non nasce da una nostra capacità o bontà ma dalla semplice memoria che i primi ad essere stati perdonati siamo stati proprio noi, e che senza la memoria di questa grazia che abbiamo ricevuto non riusciremo mai a farlo anche noi di conseguenza.
Allora il problema diventa un altro: abbiamo memoria di quanto siamo stati perdonati? Dire in confessione “non credo di peccare”, o “sono fondamentalmente una brava persona” non ci aiuta. Non metto in dubbio che c’è molta gente santa in giro, ma solitamente i santi dicono che sono dei grandi peccatori e riescono a scovare la loro fragilità nelle pieghe più nascoste della loro vita, mentre i più incalliti peccatori sembrano vivere beatamente nella convinzione che sono migliori degli altri.
Si perdona solo se si domanda al Signore la grazia di vedere quanto noi stessi abbiamo bisogno di perdono.
ALTRO COMMENTO DA FACEBOOK
Quante volte bisogna perdonare? Si può quantificare l’esperienza del perdono? Gesù nel Vangelo di oggi ci dice di no, anzi pone una misura infinita al perdono. Eppure questo eccesso di misericordia era percepito già allora come una forma di ingiustizia e non come una modalità dell’amore. Infatti non è possibile pensare al male subìto senza che nessuno ne paghi le conseguenze.
Ma il perdono non è un’alternativa alla giustizia è la possibilità che la giustizia ha di non diventare essa stessa male, vendetta. Si perdona non quando il male fatto non ha conseguenze, ma quando quel male non continua a fare del male alimentando odio, rancore, risentimento. Chi perdona si libera dalla morsa di quel male interiore che continua a farlo soffrire.
In questo senso abbiamo bisogno di perdonare all’infinito perché abbiamo bisogno di essere sempre infinitamente liberati da ciò che ci rode dentro fino a toglierci la pace, la gioia, la serenità. Questo è ciò che Dio fa con ciascuno di noi: ci libera dal male che ci fa ancora del male. Ma l’unica cosa che chiede è di agire anche noi nello stesso modo, cioè di liberare anche gli altri dal peso del male che li tormenta, che li uccide.
È bello pensare che Gesù non ci chiede di fare una cosa giusta e basta, ma ci chiede di fare una cosa giusta solo perché noi ne abbiamo fatto per primi esperienza. Io posso perdonare perché sono stato perdonato. Allora la domanda che il Vangelo di oggi ci pone è semplice: mi sono mai sentito veramente perdonato?