Letame
Moriremo tutti allo stesso modo?
Vedremo il nostro sangue impastarsi caldo a quello delle vittime? Moriremo sgozzati e sacrificati a qualche idea di Dio, a qualche idea di potere, a qualche idea di giustizia? Moriremo sotto i colpi di una vita violenta, di una mattanza che si ripete dentro e fuori i recinti di ogni tempo e di ogni tempio? Moriremo indifesi e convinti di essere sempre e solo vittime immacolate? Moriremo sapendo il nome del colpevole e odiando ogni nuovo Pilato?
Moriremo senza neppure il coraggio di esplicitare il rancore verso un Dio che non interviene mai, dall’alto della sua presunta onnipotenza, a fermare i massacri? Moriremo senza averlo nemmeno portato sul banco degli imputati? Moriremo credendo che dovrebbe essere Lui a fermare le guerre, ad afferrare la mano dell’assassino, a disinnescare le esplosioni di violenza? Moriremo incolpando Dio, incolpando noi stessi, cercando sempre e comunque il colpevole per questa vita che continua a ripetersi con disarmante arroganza?
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Non so come moriremo, ognuno morirà a modo suo e questo credo sia l’unica cosa a cui sarebbe intelligente prepararsi. Però leggo e amo questo Cristo che davanti alla narrazione di una cronaca che altro non è che una ragnatela di accuse, nel cuore della strafottenza dei Galilei di ieri e di oggi, esplicita la loro subdola convinzione: se muori in modo tragico è sicuramente a causa di un peccato enorme. Come se la morte feroce fosse il prezzo da pagare al dio sanguinario e vendicativo per un peccato commesso, come se fosse il tributo per portare a pari il nostro debito.
Gesù smaschera, prima di tutto smaschera, e spezza il legame tra colpa e castigo, tra peccato e punizione. Ma questo ormai lo sappiamo, quello che forse è meno evidente è che Cristo facendo così mette disordine del mondo. E questo fa paura anche a noi.
Perché è questo che cerchiamo, alla fine, un qualche ordine, una causa che spieghi, abbiamo paura del disordine. Non cerchiamo un colpevole perché siamo cattivi, lo facciamo per illuderci di capire. Per provare a tenere tutto sotto controllo. Se c’è una guerra c’è un cattivo, se c’è un massacro c’è sempre e solo un Pilato, se c’è una pandemia c’è sicuramente un complotto… nella nostra testa c’è bisogno di ordine e di colpevoli. Per provare a trovare sempre una spiegazione. E se crediamo in Dio, visto che non abbiamo il coraggio di incolpare lui per ciò che ci succede, ecco che incolpiamo l’uomo che non prega, l’uomo che ha peccato, l’uomo che in fondo si merita un castigo. E il castigo è il prezzo per un ordine ristabilito. Gesù invece: disordina.
Moriremo tutti allo stesso modo? Cercando sempre un colpevole? Ma a Siloe, dice GesĂą, non ci fu nessun colpevole per la torre crollata sui diciotto uomini. A meno che non fossero loro stessi colpevoli e allora, Dio sarebbe tale e quale a Pilato, come uno che punisce una regola infranta. Sangue a scorrere per presunti peccati altrui.
Far saltare questo schema elementare di colpa/castigo, accettare il disordine, cominciare a sentire addosso l’impossibilità di trovare una risposta chiara e netta, e sentire la paura di non poter comprendere, sentirsi risucchiati nel mistero, in balia di una vita incontrollabile, sia nel bene che nel male. Se iniziamo a credere che il male non sia solo conseguenza della follia di un colpevole ecco che non riusciamo più a visualizzarlo nettamente, i contorni sfumano, e fa paura, perché forse, ed è qui che Cristo vuole portarci, ci accorgiamo di non essere immuni al male nemmeno noi, non siamo sempre e solo innocenti. Ma ammetterlo è difficile.
Convertitevi dice Cristo, e chiede ai Galilei, chiede a noi, di smettere di giudicare il mondo guardandolo da fuori, come se fossimo a teatro, seduti tra le prime file, a voler comprendere la trama della tragedia in scena. Convertitevi, ciò rendetevi conto che ognuno è attore protagonista di questo spettacolo chiamato vita. Convertitevi, cioè compromettetevi, e smettete di guardare il copione come improbabili critici teatrali, gettate la maschera e salite e prendete parte a questo terribile spettacolo.
Coinvolti nella complessità delle cose non potremo fare molto, non riusciremo da soli a cambiare la trama, non impediremo il sangue versato da Pilato e nemmeno il crollo delle torri, ma saremo lì. Nel sangue e nel crollo, ma anche nella lama di Pilato e nella violenza e nel male che purtroppo non ci è estraneo. E non basterà pregare o manifestare se non ci sarà conversione personale, se non scenderemo a verificare il disordine che abbiamo dentro, se non confesseremo che siamo anche noi complici di male. E di morte.
Coinvolti e non spettatori giudicanti, anche per dare il giusto ruolo al divino, che non è l’autore della trama, che non è nemmeno il regista, ma che è il coinvolto, l’incarnato, e Cristo lo esplicita. Nessuno può chiamarsi assente, nemmeno Dio, tutti compromessi in questa storia. Tutti a cercare di fare il possibile. Anche quando il possibile sembra poco, quasi niente. Da una parte un massacro nel tempio e una torre che crolla e da questa un fico in una vigna. Niente di più.
Eppure attorno a quel fico, in quel brandello inutile di mondo accade che tra la sterilità del presente e il taglio finale della lama (che comunque rimane pronta, perché la morte non è negata) tutti, tutti, si sentono partecipi. Il padrone della vigna viene costretto a una pazienza apparentemente senza senso, il vignaiolo ad una cura aggiuntiva, il fico al dovere di portare frutto. Nessuno cerca il colpevole, nessuno cerca scuse, e sarà solo un fico ma ognuno sente di non potersi disinteressare, ognuno prova a morire impastato a questa vita, accogliendola e non chiamandosi fuori.
Rimane un senso di smarrimento di fronte agli eventi e questo smarrimento credo sia inevitabile, rimane la coscienza di non essere parte di un paradiso, che la realtà non sia un meccanismo perfetto, rimane che ciò che accade è molto più grande di noi. Ma rimane anche la possibilità di partecipare, sentirsi parte di questa vita, sentirsi parte di tutta la complessità , smettere di recitare la retorica degli innocenti, dei buoni, dei pacifisti, degli immacolati. Siamo sporchi, siamo tutti sporchi, se siamo abbastanza onesti con noi stessi non possiamo certo definirci innocenti, ma queste mani possono anche sporcarsi di letame e mostrare i calli di una zappatura cocciuta e sopportare una speranza invincibile incastrata in fondo agli occhi.
Io non credo di potere altro, mi piacerebbe morire così. E non credo blasfemo immaginare che il Padre non abbia indosso la toga del giudice ma abbia le mani sporche e puzzi del letame del contadino. Â
AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica