Quaresima bellica
Per noi cristiani anche quest’anno come due anni fa i tempi della storia sono andati quasi pari passo con quelli della liturgia. Nel 2020 l’inizio del tempo quaresimale è praticamente coinciso con l’inizio della pandemia, che ci ha rinchiuso tutti dentro casa e dentro le nostre paure.
La quarantena è coincisa con la quaresima, in una coincidenza fortemente simbolica. Quest’anno la quaresima è iniziata quasi contemporaneamente con la guerra in Ucraina, nel cuore (geografico e simbolico) della nostra Europa. E di nuovo le nostre paure si sono come riaccese insieme a quel senso di incertezza per il futuro che abbiamo già conosciuto con la pandemia.
Se i tempi della liturgia sono prevedibili dal calendario tradizionale, quelli della storia non lo sono affatto, e questo intreccio che il caso ha voluto, per me diventa ancora una volta una provocazione a legare la mia fede alla mia vita e alla vita del mondo, perché questo è uno dei principali insegnamenti del Vangelo.
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Infatti la storia di Gesù, i suoi insegnamenti e gesti che noi come cristiani celebriamo nelle nostre liturgie, sono la realtà di Dio che entra dentro la realtà umana. La storia dell’uomo, con le sue tragedie e drammi e anche con le conquiste positive, è legata alla storia di Dio, alla storia della salvezza.
Gesù, nel racconto di questa terza domenica di Quaresima, viene provocato su due avvenimenti drammatici del suo tempo, dei quali non sappiamo poi molto, ma che rappresentano due eventi di cronaca come quelli che sentiamo oggi: una strage di abitanti della Galilea da parte della potenza romana e il crollo di una torre a Gerusalemme.
Sono due eventi di violenza umana e di catastrofe che drammaticamente sembrano richiamare proprio quello che stiamo vivendo in questi anni a livello mondiale: una guerra e una pandemia. Gesù vede quei due eventi come un appello alla conversione e non come punizione divina. Nel contesto religioso di allora si pensava che un evento drammatico che colpiva una persona rappresentava la punizione divina per dei suoi peccati.
Era questo un modo per spiegare le tragedie degli altri e tirarsene fuori come se riguardasse solo chi era coinvolto. Gesù smonta questa falsa teoria su Dio e richiama tutti ad un senso profondo di responsabilità e solidarietà. Nessuno può ritenersi migliore di chi è coinvolto in tragedie, e la vera tragedia è quella di pensare solo a sé stessi e di non partecipare alle sofferenze di tutti. Quello che capita nella storia, tragedie e guerre, sia vicine che lontane, riguarda tutti.
Gesù per primo si è coinvolto in ogni vicenda umana caricandola sul suo corpo. Gesù è dentro la storia del suo tempo e la storia di ogni tempo, dentro questa pandemia, dentro questa guerra in Ucraina, dentro le tragedie umane e guerre che continuano ad esserci nel mondo anche se non le vediamo o non le vogliamo vedere. Gesù è dentro la vita di chi ci sta accanto e che magari non vogliamo aiutare, dentro le povertà e miserie anche di chi sbaglia ma non merita mai di essere lasciato solo e dimenticato.
La conversione a cui Gesù richiama i suoi contemporanei e i suoi discepoli, non è quella mentale di passare dal non credere al credere in Dio, ma è un richiamo alla conversione prima di tutto per noi che diciamo di credere ma che spesso ci chiudiamo nella nostra vita disinteressandoci del prossimo. La conversione è quella dal pensare solamente a sé stessi giudicando l’altro al prendersi cura dell’altro. La parabola finale di questo brano di Vangelo è un richiamo a prendersi cura del prossimo e della storia umana perché possano crescere quei frutti di bene e di amore che spesso mancano e rendono apparentemente sterile la vita.
Il Vangelo ci invita a prenderci cura del prossimo come ha fatto Gesù che è venuto in un mondo religioso ormai sterile di bene, ripiegato su se stesso in riti e tradizioni vuote che non portavano a nulla. Gesù è quel vignaiolo della parabola che crede che anche l’albero più sterile se è amato e curato può dare un frutto.
Sarebbe davvero bello che questo tempo di quaresima “bellico” non solo terminasse con una Pasqua di pace per l’Ucraina e per tutti i popoli in guerra, ma diventasse anche per noi un tempo per convertirci alla solidarietà concreta, alla cura del prossimo, chiunque esso sia.
Questa quaresima “bellica” ci porti a celebrare una Pasqua di resurrezione del cuore, facendoci scoprire che siamo capaci, nonostante tutti i nostri difetti, paure ed errori, di portare sempre buoni frutti e capaci di rendere il mondo meno sterile di amore.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)