don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 20 Marzo 2022

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Cosa dice la Parola/Gesù

Continuiamo il nostro cammino alla Scuola della Liturgia in questo tempo di Quaresima. Dopo Abramo (domenica scorsa), oggi nella I lettura ci viene affiancato un altro testimone, Mosè. Egli – dice il testo – vedendo il roveto non bruciare – decide di avvicinarsi: “Voglio avvicinarmi ad osservare questo grande spettacolo” (v 3). Ma la vita non è un “grande fratello”, tanto che Dio dal roveto gridò/sgridò a Mosè: “Togliti i sandali”! Come a dire: non avvicinarti con la superbia di sapere tutto, come se la vita si potesse ridurre a pura curiosità. In quel “toglierti i sandali” non c’è solo la richiesta di rispetto di fronte a Dio, ma anche l’invito a non montarsi la testa, a “rimettere i piedi per terra”. Di fronte alla vita è importante porsi in “ascolto”, perché ogni avvenimento della vita ha qualcosa da suggerire al di là di quello che vedo o capisco. E nell’obbedire, Mosè comprende che Dio gli sta affidando il compito di dare una risposta alla sofferenza del popolo: comprende di essere lui stesso la risposta alla sofferenza del suo popolo!

Con quest’ottica, possiamo allora accostarci al vangelo, dove Gesù agisce ed educa allo stesso modo: di fronte agli eventi terribili, ingiusti o tragici della vita, non possiamo assistere o giudicare da spettatori, ma invece domandarci sempre: “Cosa vuoi dirmi, Signore, attraverso questo evento?”. La vita non si analizza, ma si accoglie come una domanda che interpella, di fronte alla quale sono invitato a convertirmi, agendo con e come farebbe Dio che canteremo nel salmo “perdona tutte le tue colpe…salva dalla fossa la tua vita…compie cose giuste…misericordioso e pietoso è il Signore”. Come Lui, io, noi.

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Anche oggi scelgo di unire i primi due punti: mentre cercherò di spiegare “Cosa dice la Parola”, cercherò anche di offrire alcuni spunti su “Cosa dice a me oggi la Parola”.

vv. 1-5: «In quel tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

Gesù fa riferimento a un massacro storicamente avvenuto per ordine di Pilato e che aveva particolarmente scosso il popolo. Dai dati si può capire che ci fu un assalto nel cortile del tempio mentre venivano offerti i sacrifici, e che il sangue dei galilei si mischiò con quello degli agnelli sacrificati. Senza approfondire i dettagli, ciò che interessa è la risposta di Gesù. Infatti, mentre gli uditori pongono i fatti sul piano storico, Gesù – come dicevamo nell’introduzione invita a guardarli con lo sguardo della fede. Ne accennavamo anche domenica scorsa: gli avvenimenti vanno prima di tutto abbracciati col cuore colmo dell’amore di Dio, non con i nostri criteri umani! Quando ci arriva una malattia, quando ci capita un fatto doloroso, subito ci poniamo la domanda: “Ma cosa ho fatto di male per meritarmi questo?”. È radicata in noi la dinamica ben espressa dal titolo del celebre romanzo di Dostoevskij “Delitto e castigo”: dove c’è il delitto/il peccato, deve giungere il castigo, la pena! Gesù invece vuol farci capire che i due fatti richiamati – siano essi una tragedia o un casuale incidente

non sono punizioni personali, ma sono eventi che invitano a ricordarsi che se nella vita è possibile fare esperienze di sofferenza e di dolore, ciò che conta è imparare dagli eventi e “convertirsi”, ossia a tornare a Dio. Ogni evento, cioè, è sempre evento di grazia, dono di salvezza, opportunità per cambiare. Certo, se ci si ferma all’apparenza, a una lettura puramente umana degli eventi della vita, non comprenderemo mai cosa il Signore ci stia suggerendo; ma se impariamo a leggere la vita con lo sguardo di Dio, anche ciò che appare banale, può diventare qualcosa di grande, come il seme di senapa…(cfr Mc 4,30-34), tanto che si fanno attuali le parole del profeta Isaia: “Non ricordate le cose passate… faccio una nuova cosa: non ve ne accorgete?” (Is 43,16-21)

La realtà, suggerisce Gesù, è intrisa di “male” (cfr il terreno con grano e zizzania, e questa non può essere estirpata, Mt 13,24-53). Ciascuno di noi è responsabile di quanto avviene perché il male è comunque dentro ciascuno di noi e poco o tanto, vi contribuiamo. Importante allora è avere uno sguardo diverso sulla vita: ogni vita è precaria, è ferita dal male, dalla morte. Dietro a tutto questo non dobbiamo vedere il castigo di Dio, ma far memoria che siamo esseri fragili, che è inevitabile fare errori, che la vita è precaria (cfr mercoledì delle ceneri), che il male esiste, realtà che spesso dimentichiamo. Di fronte alla tentazione di appiattirci alla pura logica umana, si tratta di abbracciare la logica che Gesù stesso è venuto a inaugurare: “Convertitevi credendo e credendo convertitevi”. Un’espressione che bene sintetizza le prime due domeniche di quaresima!

vv. 6-9: «Diceva anche questa parabola: “Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Il “Tale” che aveva piantato la vigna è il Padre del cielo; il “fico” è il popolo d’Israele, e il “vignaiolo” è il Figlio Gesù. A salvare quel “fico”, che oggi siamo ciascuno di noi, è l’intercessione del Figlio, che sa offrire sempre “un anno nuovo” di speranza, di fiducia.

Andando ancora più nel dettaglio, in questa parabola troviamo due verbi all’imperativo: il primo “Taglialo!” (Lc 13,7), detto dal padrone al vignaiolo; il secondo “lascialo” (Lc 13,8) detto dal vignaiolo al padrone. Due verbi che esprimono due modi di essere, di agire. Il primo – “taglialo” – rivolto dal “tale” (Padre) al “vignaiolo” (Figlio), seguiva la logica degli uomini del tempo, dove se eri infedele ai propri doveri religiosi, venivi “tagliato fuori” dalla Comunità (Immagine che ritroviamo anche in bocca a Giovanni Battista, per cui ogni albero che non portava frutto, all’arrivo del Messia, sarebbe stato tagliato e gettato al fuoco, Lc 3,9). Il secondo verbo è “lascialo”, accompagnato dalla premura nel “zapparlo, concimarlo”… ancora quest’anno: è lo stile di Dio. A differenza dei farisei, sempre pronti a giudicare e “tagliare fuori dalla Comunità”, lo stile di Dio è una continua possibilità, un’offerta d’amore. Sembra quasi un gioco di complicità tra il Padre e il Figlio: un gioco per portare a galla la differenza tra il nostro stile – quello di essere impazienti e sempre pronti a tagliare rapporti – e quello di Dio, paziente e misericordioso. In fondo, fin dall’inizio della Creazione Dio è venuto incontro a noi, è venuto in cerca di noi: “Adamo, dove sei?” Ma purtroppo Dio non trova l’uomo dove lo aveva lasciato! (cfr Gn 3,9; E sarà sempre così, cfr Osea cap 11). L’ordine di tagliare l’albero indica che la pazienza è finita, ma il fatto di accettare di lasciarlo per “un altro anno”, suggerisce che c’è sempre uno spazio nuovo di attesa, di pazienza, di misericordia. Gesù stesso è venuto a inaugurare questo “Anno di grazia”: “Lo Spirito del Signore è sopra di me…mi ha mandato…a proclamare l’anno di grazia del Signore” (cfr Lc 4,18). In questo modo nella prima parte del vangelo è presentato l’invito urgente alla conversione, mentre nella seconda parte viene presentata la misericordia di Dio.

Da questi primi passi del cammino quaresimale, simbolo della nostra vita, possiamo già cogliere alcune coordinate, a partire dal fatto il cammino di conversione ci vede impegnati dal passare dall’essere persone “non pensanti” a persone “pensanti”; da persone “superficiali” a persone “di spessore”, che vanno “in profondità”.

  1. Saremo anche solo “cenere” e quindi strutturalmente fragili e inclini al male (cfr 1Gv, la concupiscenza) eppure siamo e restiamo creature pazzamente amate da Dio. Se è vero che l’inclinazione al male ci porta a sbiadire il nostro essere fatti “a somiglianza di Dio, è altrettanto vero che nessuno può toglierci il fatto che siamo fatti “a sua immagine” (cfr Gn 1) ed è quanto basta per ritrovare la forza per rimetterci in piedi e andare Qui sta la nostra dignità: nel Figlio di Dio, figli di Dio (Gn 1). (merc. ceneri)
  2. È vero, istinto e impazienza ci influenzano, ma lasciarci vincere da essi porta solo a scelte o giudizi frettolosi e Mentre il Signore sa che possiamo dare di più, essere di più: e se ce lo chiede, vuol dire che possiamo. A noi allora evitare di essere governati dalla fretta che è una cattiva consigliera (e infatti piace al diavolo!), capace spesso di portare a compensare ogni tipo di “appetito” temendo che altrimenti tutto svanisce, dimenticando che la vita è più grande di ogni “attimo”. Importante è sempre “memoria” di quanto già Dio ha fatto per noi e di quanto può ancora fare con noi (I domenica di quaresima: I lettura la memoria del popolo d’Israele, il suo credo; vangelo: le tentazioni).
  3. Questa capacità sapienziale chiede di essere nutrita da una fede retta, un’amicizia con Dio bella e avvincente, convinti più che mai – come lo è Dio che c’è in noi un capolavoro che attende di essere Accettare questo “esodo” da una vita superficiale a una vita di spessore porta a una vita trasfigurata. Così, se il mercoledì delle ceneri ci ha ricordato la nostra dignità, questa II domenica di quaresima ci indica il nostro destino: essere “trasfigurati” (II domenica: I lettura la fede di Abramo, vangelo: la trasfigurazione).
  4. Questa esperienza di vita non chiede chissà quali miracoli, ma la capacità di sapersi mettere in ascolto degli eventi della vita: a noi “toglierci i sandali” dell’illusione di sapere già tutto della vita, e ascoltare il fuoco di Dio che c’è in noi e attorno a noi, certi che in ogni evento/attimo c’è un fuoco che brucia per noi, c’è una proposta che chiede di essere abbracciata e vissuta. Questo è divenire discepoli secondo il vangelo, sapendo accostarci e ascoltare ogni evento non con morbosa curiosità, ma con fede, perchè tutto parla di Lui se imparo a capire che tutto è fatto per me: “Signore, cosa vuoi dirmi attraverso l’esperienza che sto vivendo? Ti ascolto”. (oggi, III domenica).

Ritengo utile, a riguardo, recuperare l’esperienza di Edith Stein, Santa Teresa Benedetta, della Croce.

Nella sua autobiografia lei stessa riporta tre eventi che l’hanno interrogata profondamente e aiutata a fare la sua scelta. Scrive: “Entrammo per qualche minuto nel duomo e mentre eravamo lì in rispettoso silenzio, entrò una donna con il suo cesto della spesa e si inginocchiò in un banco per una breve preghiera. Per me era una cosa del tutto nuova. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo visitato ci si recava solo per la funzione religiosa. Quei invece qualcuno era entrato…come per andare a un colloquio confidenziale. Non ho mai potuto dimenticarlo…Ricordo di aver poi visitato una chiesa interconfessionale separata nel mezzo da una parete e veniva utilizzata da una parte per le funzioni cattoliche e dall’altra per quelle protestanti. Infine, mi colpì la serenità della vedova di Reinach: una donna, pur nel lutto, in pace. Serena nella fede in Gesù risorto: non sapevo che si erano anche loro da poco convertiti al cristianesimo”. In questi “fenomeni”, “eventi” Edith trova le risposte alle sue domande.

Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù

Colletta anno C

O Dio dei nostri padri, che ascolti il grido degli oppressi, concedi ai tuoi fedeli di riconoscere nelle vicende della storia il tuo invito a conversione, per aderire sempre più saldamente a Cristo, roccia della nostra sal- vezza.

Parla. Ti ascolto.

Dio della vita,

nulla avviene in me che sia al di fuori di Te.

Fa’ che io comprenda che ogni attimo di questa vita benedetta

non è mai pura coincidenza, ma un tuo appello

per me.

Un attimo fuggente che attende di essere

colto, ascoltato e compreso. Dio della vita,

aiutami ad abbracciarTi

in ogni istante della mia esistenza, anche dove e quando pare impossibile, per imparare a dirTi:

Parla.

Ti ascolto.

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Il commento al Vangelo di domenica 13 marzo 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.