La vita di ognuno di noi resta sempre un dono di cui benedire il Signore. Attraverso di essa ci è stata fatta la grazia di intessere relazioni, concepire progetti, generare altra vita.
La liturgia di questo sabato, mentre ci ricorda una identità ci svela il modo in cui esprimerla. La nostra non è una identità qualsiasi: “siamo figli del Padre celeste”. San Giovanni, nella sua Prima Lettera ricorderà: “quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”. Ciascuno di noi è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Ora, se è vero che l’immagine non la perderemo per nessun motivo al mondo (restiamo sempre figli), la somiglianza possiamo perderla.
Questo accade quando, attaccati come siamo a noi stessi, finiamo per perseguire delle logiche che nulla hanno a che spartire con quelle dei figli di Dio. La vita, se così possiamo dire, è un continuo esercizio alla ricerca della somiglianza perduta. La somiglianza si riacquista solo se non distogliamo mai lo sguardo da Gesù che è l’incarnazione dello stile dei figli di Dio. La nostra non è una navigazione a vista. Una rotta non vale l’altra: riacquistiamo la nostra identità più vera solo quando possiamo arrivare a dire che anche in noi dimorano gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù.
Il primo passo da compiere perché questo accada è quello di rimettere in discussione le barriere che via via erigiamo fino a distinguere chi è dei nostri e chi non lo è. Del resto, è quello che ha compiuto il Figlio Gesù, il quale, se nel mistero dell’Incarnazione ha infranto le frontiere che dividevano la terra e il cielo e ha scelto di assumere la nostra stessa condizione, nel mistero pasquale ha infranto quelle che lo dividevano da chi gli stava facendo del male. Infatti, ha chiamato amico e ha avuto gesti di misericordia persino per il fratello che lo tradiva.
La nostra condizione di figli di Dio si esplicita nella misura in cui stiamo nella vita proprio come il Padre: a meno di questo si dà successione di giorni ma non si dà vita vera.
Questa condizione si manifesta quando impariamo a coniugare la categoria dell’eccesso, non quella del dovuto.
La vita potrebbe essere letta davvero secondo un progressivo percorso in cui restituire a chi e a ciò che avvertiamo a noi ostile, il volto dell’accoglienza, fino ad arrivare al giorno in cui saremo chiamati a far diventare sorella, addirittura, quella che solitamente leggiamo come ultima nemica, la morte.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM