AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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La scampagnata raccontata nel Vangelo di oggi rimarrà indimenticabile nella memoria di Pietro, Giacomo e Giovanni. E lo sarà perché in quel giorno faranno la straordinaria esperienza di vedere con i loro occhi che Gesù non solo è veramente uomo, ma è anche veramente Dio. Quella Luce rimarrà indelebile anche quando il buio sembrerà vincere e darà la sensazione di essere l’ultima parola su tutto.
I discepoli devono imparare che credere significa anche fare memoria. Significa anche ricordarsi di ciò che conta proprio quando sembra non ci sia più. La fede è molto spesso questa memoria che ci salva.
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“E fu trasfigurato in loro presenza; le sue vesti divennero sfolgoranti, candidissime, di un tal candore che nessun lavandaio sulla terra può dare”.
Ma le esperienze estreme di gioia come quelle di dolore, producono in noi paura, spavento: “E apparve loro Elia con Mosè, i quali stavano conversando con Gesù. Pietro, rivoltosi a Gesù, disse: «Rabbì, è bello stare qua; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Infatti non sapeva che cosa dire, perché erano stati presi da spavento”.
Eppure nelle nostre esperienze di confusione e paura, Dio può parlare: “Poi venne una nuvola che li coprì con la sua ombra; e dalla nuvola una voce: «Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo». E a un tratto, guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo”.
Al fondo della nostra paura, se rimaniamo in ascolto, ci accorgeremo che c’è una voce che ci indica una strada perché ci indica che cosa è vero o no. Al fondo delle nostre agitazioni, pensieri ed emotività c’è una voce che ci ricorda che cosa dovremmo davvero ascoltare. Non va ascoltata la paura, ma ciò che c’è oltre di essa.
Non vanno ascoltate le proprie emozioni ma ciò che c’è al loro fondo. Non vanno ascoltati i propri pensieri ma ciò che li precede. Questa è la grande lezione della Trasfigurazione: ricordarsi della luce quando è buio, e imparare ad ascoltare ciò che conta nonostante la paura ci suggerisca parole e ragionamenti senza molto senso e prospettive.
Dopo il video, un altro commento.
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Non so se Pietro, Giacomo e Giovanni potevano immaginarsi che quella gita fuori porta, quella scampagnata sul monte Tabor, li avrebbe visti protagonisti di un evento che si fa fatica anche solo a raccontare: “li condusse soli, in disparte, sopra un alto monte. E fu trasfigurato in loro presenza; le sue vesti divennero sfolgoranti, candidissime, di un tal candore che nessun lavandaio sulla terra può dare. E apparve loro Elia con Mosè, i quali stavano conversando con Gesù”.
La luce, la visione, la presenza di Mosè ed Elia, sono segno che Gesù sta mostrando a questi suoi migliori amici la Sua divinità. E lo sta facendo non soltanto per affetto, ma per metterli al sicuro da tutto ciò che di lì a poco succederà. Infatti sempre loro tre si troveranno trascinati da Gesù sulle pendici di un altro monte, quello degli ulivi, chiamato Getsemani, e davanti ai loro occhi vedranno tutta l’umanità di Gesù, sfigurata questa volta dall’angoscia, dalla sofferenza, dalla lotta con l’idea stessa della morte.
Sarà un momento di buio fitto e non più di luce splendente. Eppure queste due esperienze sono importanti per i discepoli. Essi devono sapere fino in fondo che Gesù non è solo vero uomo, ma anche vero Dio, ma che allo stesso tempo Egli non è solo vero Dio così che l’umanità è solo una finzione, ma Egli è anche veramente e totalmente uomo. Il mistero del buio lo si capisce solo nel mistero della luce. E se la luce ci attrae fino al punto da mettere queste parole in bocca a Pietro: «Rabbì, è bello stare qua; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia»; è vero anche che davanti all’esperienza del buio quello che ci viene più normale fare, è ciò che fanno i discepoli dopo l’arresto di Gesù: “e fuggirono tutti”.
Di Gesù vorremmo tenerci la Sua divinità e scappare dalla sua umanità. Ma per entrare nella divinità di Cristo bisogna passare attraverso la Sua umanità. È l’umano la via che ci conduce a Dio. È attraverso il buio della nostra debolezza che si giunge alla luce di saperci amati e salvi.