Che senso ha la nostra preghiera?
Il martirologio di oggi ci presenta Cirillo e Metodio due fratelli diventati monaci e inviati a evangelizzare i popoli slavi. Il testo scelto per ricordarli è particolarmente adatto. Gesù infatti, inviando a due a due settantadue discepoli in ogni città e luogo dove stava per recarsi, allude a tutti coloro che nel corso dei secoli si spenderanno per l’annuncio dell’evangelo. Il numero di settantadue si riferisce alla totalità delle nazioni pagane che tradizionalmente erano considerate settantadue.
In questa pagina l’evangelista Luca sembra voler fornire un piccolo manuale del missionario. Ma anche noi che non siamo direttamente chiamati a lasciare la nostra terra per annunciare il vangelo in terre lontane possiamo ricavare alcune preziose indicazioni per viverlo sempre più in profondità.
Fra le prime indicazioni date ai settantadue ne troviamo una che ci interpella direttamente: “Pregate il Signore della messe”. Ma perché mai Gesù ci esorta pregare Dio? Una prima risposta la troviamo all’interno del testo: “perché mandi operai nella sua messe”. Questa affermazione è tanto ovvia quanto strana. Infatti se il Signore della messe sa che la messe è abbondante e gli operai sono pochi, non potrebbe mandarli direttamente? Che bisogno c’è che noi lo preghiamo? In realtà chi ha bisogno di pregare non è Dio, ma noi. È a noi che serve pregare il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe affinché tutti gli uomini, compreso ciascuno di noi che spesso se lo dimentica, percepiscano che “Il regno di Dio si è avvicinato”, affinché tutti gli uomini, compreso ciascuno di noi che spesso se lo dimentica, percepiscano che Dio è vicino a ciascuna persona per guarire e curare le sofferenze da cui è afflitta.
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Inoltre la richiesta di pregare il Signore della messe fatta dal Signore Gesù ci porta a interrogarci sulle motivazioni che ci spingono a pregare. Spesso preghiamo perché le situazioni nostre o di altri migliorino, e questo va anche bene. Ma non dobbiamo dimenticare che il fine della preghiera è soprattutto di far sì che a cambiare non siano tanto le situazioni esterne a noi, bensì il nostro sguardo su di esse. Il fine della preghiera è far cambiare innanzitutto noi stessi, non gli altri o chissà che cosa. Siamo noi che dobbiamo cambiare la prospettiva da cui guardiamo il mondo e ciò che in esso accade. Dobbiamo smettere di guardare dal nostro piccolo punto di osservazione per cominciare a vedere dall’ampio punto di vista di Dio.
A questo serve la preghiera. Per questo è necessario pregare. Non si prega Dio innanzitutto per compiacerlo, per accaparrarsi meriti, per chiedergli qualche grazia particolare, per chiedergli che gli altri cambino. Certo, esporre a Dio le nostre richieste nella preghiera ha senso nella misura in cui ci si confida con colui che si ama, ma non dobbiamo dimenticare che l’essenza della preghiera è farci cogliere il significato profondo per cui Dio ha creato e mantiene in vita tutte le cose. Il significato profondo della preghiera è farci comprendere perché Dio ha creato ciascuno di noi e, con amore e tenerezza infiniti, ogni giorno continua a sostenerci.
fratel Dario di Cellole
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