don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 25 Gennaio 2022

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All’inizio della vocazione/rivelazione di Paolo l’incontro personale con Gesù Cristo. Una figura che si è fatta improvvisamente presente, quel giorno sulla via di Damasco, quasi un’irruzione che lo aveva disarcionato fino a prendere ogni giorno di più possesso della sua stessa vita. Una seduzione che gli aveva cambiato l’esistenza, il tesoro per il quale valeva davvero la pena di dare tutto quello che aveva e di fronte al quale ogni altra cosa era ritenuta spazzatura.

Paolo è letteralmente preso da Cristo Gesù (Fil 3,12). Attraverso di lui una consapevolezza nuova comincia ad abitarlo: quella di essere amato, benedetto ancor prima della creazione del mondo.
L’iniziativa di Dio sulla via di Damasco dischiude per Paolo una diversa comprensione delle cose: la vita cristiana non consisterà nel fare qualcosa per Dio, nel donare qualcosa a Dio, ma nell’aprirsi ad accogliere un dono e a rispondervi con un’esistenza segnata dalla gratuità. Quella logica ascendente religiosa-sacrificale è stata ribaltata da quel movimento divino che abbiamo imparato a leggere come kènosi, come abbassamento e come donazione, che non esige contraccambi e tantomeno è finalizzato a suscitare un sentimento di reciprocità. Gv 3,16, in quel dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, aveva affermato: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna”.

Cristo dono di Dio. Un dono asimmetrico, che non cerca reciprocità: “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi” (Gv 15,9); non dice: “così io ho amato lui”, ma “ho amato voi”. E inoltre: “Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34); non dice: “così voi amate me”, ma “amatevi gli uni gli altri”.

Paolo è l’uomo cosciente della propria indegnità, della sua fragilità, della sua malattia, della sua inadeguatezza, da una parte, e dall’altra consapevole che la sapienza e la forza di Dio si fanno strada attraverso la debolezza umana. A partire da questa coscienza, Paolo è consegnato alla Chiesa come il discepolo che dedica i suoi giorni, senza riserva alcuna, a ciò per cui è stato prescelto: la proclamazione del Vangelo come annuncio e testimonianza della sollecitudine di Dio per l’uomo in Cristo Gesù. Tale proclamazione è da lui vissuta come un dovere (1Cor 9,16), come un incarico affidato facendosi tutto a tutti pur di guadagnare qualcuno.

È l’uomo che vicino alla morte può dire di se stesso di avere conservato intatta la sua fede, la sua appassionata adesione a Gesù al punto da non riuscire a definirsi e a esistere se non in lui, di lui, con lui, per lui.

Paolo che sulla via di Damasco accetta di essere disarcionato da quel Gesù che stava perseguitando, conoscerà presto l’emarginazione e il silenzio prima di essere riconosciuto come annunciatore instancabile del vangelo del regno. Gli sarà costata cara la fedeltà al suo Signore se, nel rileggere la sua vicenda, la collocherà proprio all’insegna dell’essere riuscito a conservare la fede. Quale forza evocativa racchiude il fatto di guardare alla propria esistenza non misurando i risultati raggiunti o i consensi ottenuti o i fallimenti registrati ma semplicemente affermando di essere rimasto credente!

Il suo andare geografico per i territori allora conosciuti credo possa essere letto  come simbolo di una itineranza alla quale aveva acconsentito anzitutto nel suo mondo interiore, là dove più forti sono le resistenze a misurarsi con la rivelazione di Dio. Non si muove un passo fuori di noi se non si è disposti a compierlo anzitutto dentro di noi.
Credo sia questa la sfida consegnata a noi comunità cristiana: la capacità di riconoscere nelle trame della nostra storia la rivelazione di un Dio capovolto alla quale acconsentire anche a costo di mettere in gioco un nostro sistema di pensiero.

Una esistenza, quella di Paolo, attraversata dalla passione di rendere ragione della speranza  che aveva acceso la sua vita e perciò spezzata come quella del loro Maestro. Vicenda, la sua, a cui bastava la consapevolezza di un Dio che rimane vicino anche se non risparmia la possibilità che l’annuncio possa essere contraddetto: il Signore, però, mi è stato vicino – attesta Paolo in 2Tm 4,17 – e mi ha dato forza perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio… Uomo abbandonato e sotto processo (processo che finirà male) e che, tuttavia, vede compiersi il Regno di Dio, capace di contemplare l’opera di Dio anche quando le circostanze sono mediocri o addirittura avverse, senza mai abbandonarsi a rivalse.


AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM