“Ne costituì Dodici”: la comunità dei discepoli, il collegio apostolico, è frutto della volontà, della scelta e dell’azione di Gesù. È lui che chiama a sé quelli che vuole, che li costituisce e che dà a loro un nome nuovo: apostoli.
Questi discepoli costituiti apostoli, così diversi tra loro per provenienza, lavoro, vissuto, carattere, ricevono tutti da Gesù un duplice compito: stare con lui e andare a predicare. A prima vista questi due ambiti sembrerebbero inconciliabili: o si sta con Gesù o si va a predicare. In realtà l’uno è funzionale all’altro, l’uno non può reggersi senza l’altro, perché è lo stare con Gesù che spinge verso la missione, e la missione, la predicazione, trae la sua linfa vitale nello stare con Gesù.
È stando con Gesù che s’impara a essere “chiesa in uscita” (per usare un’espressione cara a Papa Francesco), e si può essere “chiesa in uscita” solo se nel proprio cuore si dimora con Cristo, si vive di Cristo.
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Altrimenti il nostro uscire, la nostra predicazione, rischia di mondanizzarsi, di assumere quelle logiche di successo, di spettacolarità, di fama, che con il vangelo hanno poco a che fare, se non il fatto di usarlo per se stessi, svuotandolo della sua verità che è sempre appello alla conversione (“Convertitevi e credete al vangelo”), appello per chi annuncia, ancora prima che per coloro a cui è annunciato.
L’apostolo è uno che agisce non a titolo personale ma su incarico, nel nome di un altro, a servizio di un altro e da quest’altro riceve la sua autorevolezza e la sua missione.
Ma a sua volta il nostro stare con Gesù, dimorare con lui, deve vincere la tentazione di diventare ripiegamento e chiusura, e quindi deve aprirsi al prossimo perché Gesù stesso ci spinge a cercarlo nel fratello, nella sorella, e soprattutto vuole che la nostra prossimità con lui divenga il grembo che genera un uomo nuovo, una donna nuova, capaci di amare il prossimo come Lui ha amato noi.
Gesù infatti non ci dà come comandamento nuovo di amare lui, ma di amarci gli uni gli altri, e questo è possibile solo ricominciando ogni giorno ad amare lui e dimorando nel suo amore: “Chi mi ama sarà amato dal padre mio, e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). Ecco il legame stretto, la circolarità, tra lo stare con Gesù e l’andare verso il nostro prossimo.
Ciascuno di noi è chiamato a conoscere il Figlio, a stare con lui, e poi è mandato verso i propri fratelli e sorelle, per essere annunciatore della buona notizia e per portare la liberazione da tutti i nostri “demoni”, cioè da ciò che ci tiene prigionieri. Sì, perché è nel Figlio che siamo resi liberi e chiamati alla libertà, nostra e degli altri.
Dirà Paolo: “Cristo vi ha liberati affinché foste liberi” (Gal 5,1) e Pietro gli fa eco: “Agite da uomini liberi, quali servi di Dio” (I Pt 2,16).
Le nostre comunità siano luoghi dove vivere questa libertà radicata nell’essere di Cristo, resi fratelli e sorelle in lui, e ciascuno di noi porti agli altri l’evangelo con le parole ma soprattutto con la vita perché è il nostro modo di vivere che testimonia se siamo o no di Cristo, e di lui solo.
sorella Ilaria
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