Nell’assemblea convocata in una liturgia penitenziale risuona la voce profetica di Dio, come un’arringa appassionata che porta alla luce le colpe nascoste. Nel Salmo 50 (49) è infatti direttamente Dio a parlare contro l’ipocrisia del suo popolo. Come leggiamo anche nelle denunce dei profeti, chi adora Dio con le labbra spesso non lo fa con il cuore. Non servono sacrifici, liturgie, preghiere e catechesi; o meglio; non bastano.
Non perché abbiamo di fronte una divinità incontentabile, bensì indifferente a ogni azione insincera. Invece è sensibile alle doppiezze, alle ipocrisie, a una religiosità di facciata che nasconde crimini: di fronte a questo, Dio non è omertoso come noi. Insomma, la fede non può essere un mezzo per pulirsi la coscienza. Di fronte a tale rimprovero, un pentimento sincero scende in profondità, sino al centro delle nostre decisioni, e indirizza le scelte future sulla via della giustizia che si affaccia sulla salvezza.
Io lamenti non faccio su vittime,
l’abbondanza dei tuoi olocausti
mi sta sempre davanti agli occhi!
Non ti rubo da casa i giovenchi,
non i capri dai tuoi recinti. […]
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Come osi insegnar le mie leggi
e aver sempre in bocca il mio patto?
Tu detesti la mia condotta;
le parole mie getti alle spalle!
Questo hai fatto: dovrei tacere?
Come te tu credevi che fossi!
Sono questi i motivi d’accusa
le tue colpe ti getto in faccia.
Smemorati di Dio, riflettete:
se mi adiro, nessuno vi salva.
Mi dà gloria colui che di cuore
sacrifici di lode mi offre: –
a chi il giusto sentiero percorre
mostrerò la salvezza di Dio!
«Signore, liberami dalla religione e dammi la fede!» (Karl Barth)
Fonte: Buttadentro, canale Telegram gestito da Piotr Zygulski
Foto di Joshua Lindsey da Pixabay